CASANOVA Atto 2° (ventisettesimo capitolo del “Glossario Felliniano”). Verso il Centenario della nascita di Federico Fellini

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A metà degli Anni Settanta Federico aveva il suo ufficio in Via Sistina, proprio di fronte all’edicola dei giornali, una cinquantina di metri a monte del celebre teatro di rivista che prende il nome dalla strada. Si saliva al secondo piano per una scala stretta e un po’ buia com’era consueto per gli edifici della vecchia Roma. L’ambiente interno era a sorpresa molto accogliente, con le finestre principali affacciate sulla via, arredato con cura, il pavimento ricoperto di una spessa moquette grigio perla. Lo studio, ampio e silenzioso, era pervaso di un odore particolare e indimenticabile, leggermente speziato, un aroma leggero forse di zenzero e cannella o sandalo e cardamomo, chissà, un mélange indistinguibile, che poi seguirà il regista in altri uffici, con il fondato sospetto che la fragranza emanasse dalla sua persona.  Per me che iniziavo appena a frequentarlo al di fuori di Cinecittà, l’impressione inebriante era di penetrare nel sancta sanctorum del Gran Sacerdote.

Federico usciva dal successo trionfale di Amarcord che gli aveva assicurato il quarto Premio Oscar. Stava girando un po’ a vuoto e benché poco convinto, s’era lasciato sfuggire un incauto assenso alla proposta di Dino De Laurentiis di tradurre in un film i Memoires del seduttore veneziano, principalmente per non dispiacere l’amico produttore, insieme al quale aveva conquistato i suoi due primi premi Oscar con La Strada e Le Notti di Cabiria. Al tycoon napoletano ancora bruciava l’occasione perduta con La Dolce Vita, in cui non aveva creduto, e che invece in mano a Angelo Rizzoli aveva conseguito incassi stratosferici in Italia e all’estero. Con Casanova almanaccava di riscattarsi, essendo l’operazione stravincente sulla carta. Ma Federico era a pelle sospettoso del soggetto, e poco portato ad apprezzare quel personaggio vanesio, affannato dietro un vortice di avventure amorose che a lui apparivano tristi, vuote, meccaniche e persino un po’ lugubri oltre che, come continuava a ripetere, “noiose come la lettura dell’elenco telefonico”. Recalcitrava, gli sembrava di scorgervi un pericolo, un’insidia nascosta, e cercava di prenderne prudentemente le distanze. Soprattutto in seguito a un brutto sogno che giudicava perentoriamente ammonitore:

Il 27 giugno 1974 il regista, in una pagina del suo onirico giornale di bordo, ritrae sé stesso strettamente avvolto in una tela di ragno che gli impedisce ogni movimento. e a fianco aggiunge una scritta allarmante, tutta in maiuscole e col punto esclamativo: IMPRIGIONATO!

Sono circa trenta le pagine del Libro dei Sogni che riportano gli incubi notturni di Federico tra il ‘74 e il ’75, un periodo turbolento in cui l’artista se da un lato viveva un’opprimente inquietudine legata al simbolico passaggio d’età (si avvicinava ai minacciosi sessant’anni), dall’altro stava attraversando una stagione di esuberante e feconda vitalità personale.

Il 20 settembre sogna di essere a letto con Sandrocchia (Sandra Milo), entrambi nudi fanno l’amore in un bel talamo spazioso nel bel mezzo di Piazza Barberini.

In quel periodo c’era stato effettivamente un riavvicinamento tra loro, e Federico s’era riacceso di passione, tanto che all’interno del messaggio onirico sembrerebbe celarsi il desiderio di venire allo scoperto, anzi di voler letteralmente “mettere in piazza” la sua relazione clandestina. Una sera che Sandra aveva congegnato una possibilità di fuga dal ménage coniugale per raggiungerlo a via Sistina, Federico era volato ai sette cieli: aveva telefonato a una famosa gastronomia di via Po ordinando i cibi più golosi e raffinati per accogliere con una sontuosa cena a sorpresa la creatura prediletta, distribuendo delicati bouquet di rose nei vari ambienti. Era felice e vibrante come un adolescente mentre con l’aiuto mio e di Liliana pregustava l’andamento della serata.

Il 23 settembre il regista disegna una vignetta in cui un suo organizzatore storico, Clemente Fracassi, organicamente pessimista, viene inviato presso Rizzoli ad annunciare che il regista si offre di girare il Mastorna al posto del Casanova, per il quale non avverte alcun interesse. Tuttavia, dilaniato dal dubbio, Fellini sempre nel sogno si rivolge a Magda Fabi (una potente veggente da lui molto apprezzata) che lo sprona invece ad andare avanti perché “non si lasciano le imprese incompiute”. Allora Federico consulta I Ching e il responso dei due esagrammi (graficamente riportati nel commento) è confortante: L’innocenza e Il procedere. “Stupenda risposta”, annota Fellini; “bisogna fare il lavoro per amore del lavoro e non guardando al risultato.”

Il 16 ottobre, tornando stanco da Milano e non riuscendo a prendere sonno, Fellini formula nel buio una domanda ad alta voce: “Farò il Casanova?”, ma una vocetta beffarda di bambina risponde ridacchiando: “No!” “Farò Mastorna?” Insiste il regista. Nessuna risposta.

Il 25 ottobre Federico ha una visione sinistra con la scritta: “Crollo silenzioso della costruzione grattacielo”. L’allegoria non richiede ulteriori commenti.

Trascorrono un paio di giorni e Fellini sogna Danilo Donati (il suo costumista e scenografo) che nell’auto della produzione siede davanti, al fianco dell’autista. Specifica la didascalia:

“Ho come l’impressione che quello dove c’è Danilo sia da considerarsi il posto migliore, il posto d’onore. Io sono dietro. P.S. Al risveglio penso con sicurezza che Danilo avrà l’Oscar per il film e che il sogno mi ha anticipato questa situazione.”

Per la cronaca, quando infine il film si realizzò, Donati vinse effettivamente il Premio Oscar.

Il 18 novembre compare un disegno in cui Fellini e Vittorio Gassman (abbigliato in foggia elisabettiana e a gambe accavallate) sono in attesa dietro una porta chiusa panneggiata con una tenda a mantovana simile a un sipario. Il titolo enuncia in maiuscole: APPARIRÀ, ENTRERÀ CASANOVA? E nel testo si legge:

“In un vasto salone lussuosamente arredato in stile seicentesco Gassman ed io attendiamo che da quella porta appaia ed entri Casanova. «Vediamo com’è questo buffone!» Penso incuriosito e sospeso. Gassman mi sembra truccato e in costume. E’ qui con me per ispirarsi e vedere com’è veramente Casanova? Ho scelto lui per il film? La porta sontuosa rimane chiusa. Arriverà?”

Quando circa un mese dopo, per realizzare lo special su Casanova, ci recheremo al teatro Quirino a girare la testimonianza di Vittorio Gassman impegnato a recitare il “Kean”, l’attore indossa esattamente quel costume a calzamaglia con cui è ritratto nel disegno!

Si inframmezzano altri sogni, dal contenuto blandamente conciliatorio, che presentano riferimenti diretti o indiretti con il film sul seduttore veneziano.

Ruotano i personaggi della vita reale: Giorgio Strehler, approvante; i produttori Cristaldi e De Laurentiis insieme in aereo in viaggio verso New York; Luchino Visconti che si appoggia al bastone in seguito alla malattia; e, immancabile, Anna G. (l’amante segreta) molto spesso rappresentata nella sua nuda formosità e in languidi abbandoni.

Anche Giulietta è una presenza costante, e tornano assedianti i fantasmi erotici di Sandrocchia e Normicchia. Di nuovo Danilo (Donati) esecutore materiale delle fantasie scenografiche. E persino Salvador Dalì che canta una singolare canzoncina: “Oh come è bella la vita del regista…”

Sta forse configurandosi il sentimento più idoneo con cui affrontare il film.

Ma il 18 gennaio 1975, Federico si rappresenta di schiena mentre assiste al precipitare, tra i palazzi, di un piccolo aereo da turismo, e accanto a lui c’è Luciano (il suo autista del momento) che commenta con scetticismo romanesco:

“Se sapeva da un bel po’ che annava a finì così!”

Si arriva al 15 febbraio del ’75; Fellini sogna di essere seduto dietro una scrivania della PEA (Produzioni Europee Associate, la società di Alberto Grimaldi che intanto è subentrato ad Andrea Rizzoli nella produzione del film) e il titolo recita: “Come sono angusti piccoli scomodi gli uffici della PEA!”

Nell’affollarsi dei segnali onirici si accendono due palpitanti e promettenti trasalimenti sessuali. “Il culo della segretezza”, in cui il suono della parola riconduce per ambigua assonanza a ‘segretaria’ (e infatti le chiappe voluttuose appartengono alla segretaria di edizione Norma Giacchero); e poi una scenetta ambientata nell’appartamento di via Lutezia, l’abitazione della famosa zia Giulia in cui Federico e Giulietta abitarono inizialmente, subito dopo il matrimonio. Precisa la didascalia del regista a spiegazione del sogno:

“Una figura femminile – Giulietta? Mia madre? – palpeggia le enormi, meravigliose tette di A.” Ancora dunque Anna (Giovannini), la sua silenziosa seconda moglie, associata alla vera moglie, Giulietta che ‘dissolve’ nella figura materna (analogamente a quanto accadeva in una famosa scena di Otto e mezzo).

In quegli stessi giorni ricompaiono tuttavia anche annunci poco rassicuranti: Flaiano ‘paralizzato e morente’; De Laurentiis ‘completamente paralizzato’; Federico stesso ‘paralitico, anzi senza gambe’:

“Mi aggiro sistemato su una piccola carriola per vasti corridoi cercando una via d’uscita”.

L’angoscia è dunque immobilizzante. Eppure una soluzione è alle porte.

Un sogno sorprendente visita infatti il regista proprio a riprese già iniziate. La notte del 26 luglio 1975, a conclusione della serie di minacciosissimi messaggi, Fellini disegna questa favoletta onirica finalmente conciliante: si trova nella stradina di accesso a Villa Elia, il piccolo parco adiacente a via Archimede, circondato dai tecnici della troupe e collaboratori del film. Arrivano delle automobiline minuscole, quasi dei giocattoli, senza nessuno al volante. Federico si piega a terra, e domanda: “Siete forse i marziani?” Un alieno, che è in tutto simile a un uomo, con i capelli rossi, lo fa stendere bocconi, poi compie alcuni gesti ritualistici e il regista si sente invadere da un fluido che gli trasmette questa notizia: “Non c’è nulla da temere.”

Giulietta che sta pregando poco discosta con un rosario fra le mani, mormora: “E’ quello che ho sempre pensato e detto anch’io.

Il 21 luglio Casanova è decollato, la lavorazione è finalmente partita e procederà non senza ostacoli e contrattempi anche gravi – ritardi rispetto al piano di lavorazione, sospensione delle riprese, perfino un furto in agosto di alcune bobine di negativo già impressionato; un danno cospicuo al quale segue la relativa richiesta di riscatto: 500 milioni.

Alla fine l’avventura Casanova ricoprirà l’arco di due interi anni della vita di Fellini, da maggio 1974 a maggio 1976; e persino tre anni, considerando che il concepimento del progetto risale al 1973.

Nel vortice dei candidati al ruolo dell’amatore veneziano, erano saliti alla ribalta e poi precipitati, Alberto Sordi, Michael Caine, Jack Nicholson, Gian Maria Volonté, e Tom Deal, un improbabile attore inglese di Cabaret. Infine, buon ultimo, Donald Sutherland, il quale aveva dichiarato:

“Per questo ruolo che vorrei tanto soffiare a Gian Maria Volonté verrei in Italia a nuoto”. 

La scelta del regista cadde su di lui; era l’ideale anche per statura, alto più di un metro e novanta, quanto il vero Casanova. Alberto Grimaldi si era impegnato con i coproduttori d’oltre oceano a girare il film in lingua inglese, e poi Donald costava molto meno di Volontè, 180 milioni contro 400, per un preventivo globale che si aggirava tra i cinque e gli otto miliardi. Soprattutto sembrava a Fellini che l’interprete canadese racchiudesse nel viso il senso stesso del personaggio:

“Un attore dalla faccia cancellata, vaga, acquatica, che fa venire in mente Venezia. Con quegli occhi celestini da neonato. Sutherland esprime bene l’idea di un Casanova che esiste soltanto nelle immagini riflesse di sé stesso.”


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