BUGIA/BUGIARDO (quarantottesimo capitolo del “Glossario Felliniano”). Verso il Centenario della nascita di Federico Fellini

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Mentre Federico scendeva lungo via Veneto, un giornalista tozzo e nerboruto gli si era parato davanti con volto crucciato, trattenendo a stento la rabbia; da mesi non riusciva a ottenere un’intervista dal regista, ricevendo a ogni tentativo una scusa diversa. E questa volta la balla era proprio sfacciata:

“Ma Federico, mi avevi detto che stavi partendo per Hong Kong e invece sei qui a Roma?”

E il regista fulmineo:

“Ti sbagli: tu sei a Roma, io sono a Hong Kong.”

Non era stato Guido (Marcello Mastroianni) a pronunciare in 8 ½ quella frase coniata dal regista e rimasta proverbiale?

La felicità consiste nel poter dire la verità senza far mai soffrire nessuno”.

Nel capolavoro del 1963, poco prima della passerella finale, quando tutto sembra ormai perduto, tutto finito per il protagonista della storia, Guido in una angosciosa visione a occhi aperti, immagina di farla finita sparandosi un colpo di rivoltella alla tempia. Ma era solo una sinistra fantasia. Nella scena successiva lo incontriamo seduto al volante della sua auto ferma, cogitabondo: è stato appena trafitto da un improvviso “lampo di felicità”, queste sono le sue parole, per il sollievo di avere finalmente compreso la ragione del proprio oscuro malessere. Parlando a sé stesso, si rivolge contemporaneamente anche alla moglie Luisa, che lo ha raggiunto accanto al finestrino e in piedi, immobile, ne ascolta le parole turbata e commossa:

“Ma questa confusione sono io, io come sono non come vorrei essere, e non mi fa più paura; dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato, solo così mi sento vivo e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. E’ una festa la vita, viviamola insieme.”

Quasi per l’effetto di una formula magica, il sortilegio si scioglie. Ricompare dal nulla Maurice, il mago telepata, sorridente e mercuriale, che gli annuncia la buona novella: “Siamo pronti per cominciare: tutte le mie felicitazioni! Accendete le luci!”

Il regista esce dall’auto, raccoglie il megafono abbandonato su una sedia e comincia a impartire ordini. Dalla rampa di lancio, costruita per il film in preparazione che sembrava ormai definitivamente compromesso, tutti i personaggi del racconto, centinaia, iniziano a scendere in un allegro corteo, e seguendo un bambinello in frak bianco da mazziere, si avviano verso una passerella su cui salgono per sfilare docili e spensierati al ritmo dell’immortale marcetta di Nino Rota.

Anche Guido e Luisa vi salgono mischiandosi ai caratteri veri e immaginari del film: la realtà e la finzione si fondono in un unico racconto, la conciliazione è di nuovo raggiunta nell’armonia dell’arte.

Guido, il protagonista di 8 ½ , alias Mastroianni che incarna Fellini, è un bugiardo cronico.

Nella sequenza del caffè all’aperto della stazione termale, Luisa scorgendo l’amante del marito (la signora Carla/ Sandra Milo) che prende posto a un tavolino poco discosto da loro, esplode rabbiosa:

Calmati va, l’avevo già vista ieri sera appena sono arrivata. Non ti ho chiesto niente e non voglio saper niente. Risparmiami solo la vergogna di sentirti sempre giurare il falso… Uno che giura il falso dieci volte al giorno; tutti i momenti. Quello che fai, è il meno; è non sapere mai, mai una volta la verità. Neanche nelle cose più piccole; neanche quando non ti costerebbe niente dirla. Ma tu menti come respiri, menti persino quando dici la verità.

Del resto c’è menzogna e menzogna. Nel film I Vitelloni il menzognero è l’antipatico Fausto, Franco Fabrizi, che mente a Sandra, la moglie incinta e innamorata, lasciandola tutta sola nella sala cinematografica dove sono andati a vedere un film sentimentale. La signora lasciva  con la maliziosa veletta sul viso, che gli siede accanto, ha risposto al suo ‘piedino’, e lui eccitato, inventando una misera scusa, la segue quando lei si alza per uscire, non senza avergli prima lanciato un eloquente sguardo di fuoco.

Fausto mente ancora quando, ‘fresco padre’, viene licenziato dal negozio di arredi sacri per aver provato a sedurre la moglie del proprietario, sostenendo che era stato lei a provocarlo e cercando di passare per l’innocente ingiustamente accusato. Continua a mentire, esibendo un’afflizione di maniera, di fronte alla drammatica fuga da casa di Sandrina, che ha scoperto il suo ennesimo tradimento consumato con una ballerina del Varietà. La giovane moglie è sparita insieme al neonato, e l’atroce sospetto è che abbia tentato il suicidio. Tutti gli amici si mobilitano nella ricerca della ragazza, corrono alla spiaggia temendo un gesto insano di disperazione. Fausto, con la voce rotta piagnucola: “Se non torna m’ammazzo!” Ma Moraldo disgustato, gli risponde seccamente, deplorandolo: “Tu non t’ammazzerai mai, sei un vigliacco”.

Fausto mente infantilmente, per deresponsabilizzarsi e fare i propri comodi aggirando i sensi di colpa.

Anche i protagonisti di Il Bidone mentono ad arte, per ingannare la povera gente e estorcere loro i pochi risparmi faticosamente sudati. Sono bugiardi incalliti, professionisti della bugia, falsari della vita stessa, irrecuperabili. La morte dell’anziano Augusto (Broderick Crawford), che sanguinante a terra non riesce a risalire una scarpata di pietre bianche e aguzze, sfuggenti alla sua presa, è una sequenza angosciosa, degna di un contrappasso dantesco.

La condanna morale di Fellini nei confronti della menzogna è dunque inappellabile, ma carica di pietà.

Allora a cosa si riferisce il protagonista di Otto e mezzo, alias l’autore, quando messo sotto processo dalla moglie Luisa, vagheggia un mondo dove tutti possano andare d’accordo senza mentire?

Il suo sogno a occhi aperti è l’indimenticabile sequenza dell’harem in cui Guido, uscito dalla vasca da bagno con un lenzuolo attorno alle spalle nude, la frusta da domatore in mano e il Borsalino in testa, riconduce all’ordine le femmine ribelli, le ammansisce come in un serraglio, istaurando un’armonia virile, da indiscusso califfo, da maschio alfa dominante.

La fuga nella fantasia di una conciliazione universale.

 

Anni dopo, riflettendo sulle accuse a proprio carico, a suo vedere immeritate, Fellini giunge a una spiegazione che possiede una logica stringente, filosofica, indissociabile dalla creazione artistica, che è anch’essa menzogna.

L’autista del taxi che lo ha preso a bordo, dichiarandosi calorosamente un suo ammiratore, durante la corsa gli chiede: “Ma perché lei fa film in cui non si capisce niente?”

Federico gli sorride con la sua tipica smorfia di tenerezza un po’ beffarda, senza prendersela; pensa anzi che il tassista abbia ragione a rivolgergli quella domanda, però… E ragiona tra sé:

Questo non mi sconforta. E’ giusto, quando si è così sinceri, che gli altri capiscano poco di quanto viene affermato. E’ la bugia che è chiara; la bugia la capiscono tutti. Ma la verità, la sincerità, specialmente quando è detta senza protezioni ideologiche, quindi senza lo schermo di altre bugie, è molto difficile da afferrare. Un uomo quando parla onestamente, sinceramente, di sé stesso, credo veramente che si presenti nel suo aspetto più labirintico, più contraddittorio, e quindi più oscuro”.

Federico sosteneva che non è lecito, per compiacere le attese degli altri, lasciare agire al proprio posto una ridicola contraffazione di sé stessi, un fantoccio riempito di fandonie, una caricatura, un patetico burattino. E conclude:

L’unica possibile fedeltà è a noi stessi“.

Una massima valida per tutti, ma in special modo per l’artista, che non ha altro compito su questa Terra se non testimoniare la propria verità; a volte scomoda, sgradevole, persino detestabile o scandalosa, ma nella quale qualcuno potrà ritrovarsi e riconoscersi, guadagnando ancora un lembo di libertà personale, e di accresciuta, preziosa identità.

“L’artista – scrive Proust – ci aiuta a procedere verso un risultato di verità”.

Giorgio Manganelli che come Fellini ebbe per Maestro Ernst Bernhard, lo psicanalista allievo di C.G. Jung, appunta tra le note del suo viaggio in Oriente:

«Quando, vari anni fa, mi accadde di partecipare alla presentazione di Mitobiografia di Bernhard, morto qualche tempo prima, definii il mio rapporto con l’autore all’incirca in questo modo: “E’ l’uomo che mi ha insegnato a mentire”. Dissi anche: “Era un uomo che voleva essere frainteso”.».

 

Nella sequenza della confessione di Guido a Luisa, a cui abbiamo accennato più sopra, la moglie dopo averlo ascoltato visibilmente scossa, si rivolge a lui con queste parole:

Non so se quello che tu dici è vero, ma se mi aiuti posso provare”.

Nel funambolico equilibrio della coppia, il nodo cruciale non consiste nella rigida separazione tra verità e bugia, che in una certa misura possono anche coesistere. La soluzione non risiede in un atteggiamento manicheo, il quale non conduce a null’altro se non alla distruzione e alla sofferenza, ma nell’aiutarsi a comprendere ciò che le parole in sé non riescono a definire in quanto lemmi inerti di un vocabolario. Debbono intervenire il sentimento, la fusione, la complicità: “Posso provare a capire, se tu mi aiuti”. Soltanto ‘aiutandosi’ si produce quella sostanza benefica capace di spegnere il conflitto e permetterci di uscire dalla palude; al contrario le dichiarazioni assolute, senza ritorno, gli ‘atti performativi’, sono le sabbie mobili che inghiottono l’uomo e la sua ombra.

Lo scrittore Manganelli, si spinge ben oltre nell’arcano:

«Diffido della verità, ma la menzogna mi rallegra come un antico, inesauribile prestigiatore. Il nulla delle origini era vero; ma il mondo ‘e le sue pompe’ sono menzogna. La storia non nacque dall’ira del Dio veritiero, ma dalla menzogna di Caino; e prima ancora un Qualcuno simile e dissimile a noi aveva mentito con la Sapiente lingua biforcuta. La strada della menzogna è la strada dell’amore; la sapienza si nutre di favole e di metafore. (…) Dal momento in cui si toccano le parole sapendo che esse continuamente mentono, se ne scopre l’infinita fecondità e inafferrabilità. Il mentitore è proprietario di tutte le favole possibili.».

Quindi conclude:

«Qualcuno certamente disse ‘la menzogna vi farà liberi’, e venne, come era indispensabile, frainteso – altrimenti la menzogna non avrebbe agito – e trascritto ‘la verità vi farà liberi’; o forse il trascrittore era un più raffinato mentitore».

A quanto pare Fellini era in eccellente compagnia. Convinto insieme a Eraclito, filosofo presocratico dell’antica Grecia, che: “Il dio è giorno e notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame”.

Vedete dove può condurre un taxi!?


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