ANNA – LA PACIOCCA ATTO 2° (ventesimo capitolo del “Glossario Felliniano”). Verso il Centenario della nascita di Federico Fellini

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Alcuni anni dopo la scomparsa del regista, Anna mi aveva proposto di scrivere insieme un libro sulla sua storia d’amore e avevamo iniziato a raccogliere il materiale, utilizzando anche la copiosa corrispondenza che era intercorsa tra lei e Fellini. Per la verità le lettere appartenevano soprattutto a Federico, e a più riprese mi era capitato di rileggerle ad alta voce, avendone lei nostalgia ma cominciando a lamentare seri fastidi alla vista. Alla fine avevo acquistato l’intero carteggio per conto della Fondazione Fellini che ero stato chiamato a dirigere.

Le lettere, assolutamente inedite, sono di palpitante bellezza. Federico vi è riconoscibile nel suo aspetto più tenero e sentimentale, fantasioso e romantico, possessivo e canzonatorio, nello stile tipico di tutta la sua produzione letteraria, specialmente all’inizio della carriera quando scriveva racconti surreali e umoristici per il Marc’Aurelio.

In particolare la prima lettera della raccolta è molto commovente. Fellini – come viene specificato nel testo – la compone a macchina da scrivere, di getto, recandosi alle Poste Centrali di Roma, in Piazza San Silvestro, dove sa di trovare un rifugio sicuro. Scherza sul fatto che gli sembra di essere ritornato studente, ai primi tempi del suo soggiorno nella Capitale, quando non disponendo di una macchina da scrivere, per stendere gli articoli da portare ai giornali usciva dalla sua camera ammobiliata e si recava in quella stessa sala risonante del crepitio delle tastiere e del tintinnio dei carrelli scorrevoli,

Bisogna considerare che i due amanti si incontrano a ridosso del film Le Notti di Cabiria e Fellini era un regista di fama internazionale, la sua immagine ricorreva frequentemente sulle pagine dei rotocalchi, avendo già conquistato il suo primo Premio Oscar.

Dall’epistolario acquisito per la Fondazione di Rimini era rimasta esclusa una piccola selezione che Anna considerava di contenuto troppo intimo, e conservava gelosamente in una cassetta di sicurezza nascosta dentro l’armadio della camera da letto. Le esternazioni esplicitamente erotiche la lusingavano, di alcuni passaggi mi aveva anche reso partecipe, e tuttavia era determinata a distruggere quelle missive o addirittura a seppellirle con sé nel segreto della tomba. Era impaurita soprattutto da come avrebbe potuto reagire sua figlia Patrizia la quale, a suo dire, non le aveva mai perdonato la relazione clandestina con il regista. Da piccola la bambina, come si è detto, era affezionatissima a Federico che si comportava come un padre; appena poteva giocava con lei, la colmava di regali o la portava son sé in macchina ovunque. Ma una volta cresciuta aveva sviluppato nei suoi confronti un’aspra avversione.

Ancora dopo la scomparsa di Fellini, Anna continuava a vivere con tormento questo conflitto con la figlia, mitigato in parte dal grande amore che aveva trasferito sulla sua unica nipote Ginevra, per la quale nutriva un debole assoluto. Era persino arrivata a regalarle una parure di corallo rosa, di finissima lavorazione, che Federico le aveva donato durante una delle loro fughe a Venezia. In una foto lo si vede mentre le sta allacciando il monile attorno al collo.

Finché siamo rimasti in contatto la signora ripercorreva volentieri con me le vicende della sua vita, e il discorso tornava immancabilmente a Federico e a tutto ciò che lo riguardava. Così un pomeriggio di maggio, nelle ore in cui il sole degradava lentamente fuori delle finestre, mi rivelò una storia inaspettata e sconvolgente. Si trattava di un segreto che, secondo lei, non erano ormai in pochi a conoscere, ma di cui non avevo mai avuto il più remoto sentore in tanti anni di frequenza della famiglia Fellini. Mi disse che Giulietta era una figlia illegittima; suo padre, Gaetano Masina, l’aveva concepita con la domestica di casa, che poi era dovuta rientrare precipitosamente nel proprio paese in Veneto.

Ad essa l’attrice era rimasta legata per tutta la vita, facendola passare agli occhi estranei per la sua balia, e andando a trascorrere accanto a lei lunghi periodi durante l’estate. Fino alla morte della donna. Era stato un avvocato, proprietario di una pensione nel piccolo paese in cui Anna era solita trascorre almeno un paio di settimane in agosto, a riferirle per filo e per segno la scottante verità su Giulietta. Salvo poi accorsgersi da sola che quasi tutti i paesani ne erano al corrente.

Vera o non vera, la sua confidenza mi sembrò una rivelazione; inconsapevolmente lei mi stava fornendo la chiave per la ‘lettura’ più fedele e verosimile del personaggio di Gelsomina nel film La Strada: la disarmata, innocente creatura venduta dalla madre a un saltimbanco di strada.

Anna, che aveva accettato in silenzio la posizione del terzo lato del triangolo, la donna velata condannata a non apparire mai, forse tardivamente aveva voluto concedersi una rivincita.  Di cui davvero non aveva bisogno, ma vai a capire il cuore umano. Dopo la scomparsa di Fellini e altri anni di assoluto riserbo, aveva infine rotto anche la consegna del silenzio sulla loro relazione suscitando un concitato scalpore scandalistico. In un servizio apparso sul settimanale “Chi” si lamentava dell’imprevidenza dell’amico che, colpito dalla malattia e confinato negli ospedali, ormai irraggiungibile, l’aveva lasciata senza mezzi di sussistenza. Priva persino dell’assegno mensile che le veniva versato dal segretario fiduciario del regista, Enzo De Castro; il quale a difesa del Maestro sosteneva, carte alla mano, che alla signora in aggiunta alla lussuosa casa in cui abitava, al terzo piano di uno stabile prestigioso di via Lima, nel quartiere Parioli, era stato devoluto in varie riprese un ammontare di circa un miliardo di lire; e tale cifra soltanto durante l’ultimo periodo in cui era stato egli stesso ad occuparsene personalmente.

Probabilmente avevano ragione entrambi, i soldi erano corsi realmente, ma nel frattempo erano anche stati spesi con larghezza, secondo un’abitudine alla quale Anna non intendeva rinunciare.

Fellini si occupò di Anna finché ebbe la forza di farlo, con una dedizione e una perseveranza della quale non l’avrei mai ritenuto capace. Andava a trovarla amorevolmente ogni volta che poteva, specialmente di domenica o nei giorni di festa in cui aveva più disponibilità di tempo; obbedendo a un senso di dovere mai disgiunto da affettuoso trasporto, anche quando ormai la loro passione, suppongo, si era trasformata in una calda tenerezza. Spesso lo accompagnavo in via Lima, oppure andavo a riprenderlo; lei non mancava mai di salutarlo dalla finestra, attendendo che risalisse in macchina prima di ritrarsi dietro le persiane. Anna aveva sei anni circa più di Federico, e quindi specialmente nell’ultimo decennio erano cominciati gli acciacchi dell’età; aveva bisogno di molte cure, soffriva di una cattiva funzionalità del ginocchio destro, e aveva dovuto ricorrere a vari interventi chirurgici di un celebre ortopedico, che oltre ad essere un virtuoso in camera operatoria, si professava un irriducibile ammiratore di Fellini.

Federico se poteva la accompagnava di persona, altrimenti le metteva a disposizione il suo autista, evitandole qualsiasi disagio, pianificando da lontano ogni spostamento. Era molto afflitto per la sua amica, colpita proprio nella peculiarità della sua bellezza, l’attributo fisico di cui era andata più fiera.

Anna compare in decine di bozzetti, che diventano centinaia, forse migliaia nella sterminata produzione dei disegni sparsi, ancora non interamente venuti alla luce né catalogati. La Paciocca era una fantasia ricorrente nella mente di Federico, una lieta ossessione; bastava che l’artista avesse sottomano una risma di carta extra strong, perché la penna o il pennarello colorato, obbedendo a un automatismo, corressero a ritrarla bella e altera come lui la sognava e l’aveva conosciuta.

Il Libro dei Sogni è affollato della sua presenza.

C’è un sogno che ci aiuta a comprendere meglio dove affondassero le radici del loro sentimento; Fellini lo trascrive il  5-5-1965, e in esso l’amante viene assimilata addirittura alla figura del suo insostituibile psicoterapeuta:

 

«E’ morto Bernhard!

Qualcuno, un parente, un allievo non so, mi guida lungo il corridoio e mi fa entrare nello studio del professore che giace disteso su un modesto giaciglio a pochi centimetri dal pavimento. La testa è fasciata, i denti scoperti e questo mi colpisce perché sembra morto da tanto tempo, non c’è nulla però di putrefatto, di umido, è tutto secco, polveroso, antichissimo…

Dal cadavere si alza evanescente altissimo lo spirito del professore che mi stringe le mani con grande forza come a testimoniare che l’anima è immortale ed è più forte di tutto.

“Amore mio!” Dico travolto dalla commozione, vorrei aggiungere altro ma temo di risultare un… che Bernhard possa notare nel mio dolore una sfumatura istrionesca, di compiacimento letterario…

Debbo andar via, sono venuti a prendermi Liliana e Francesco.

Di colpo realizzo che Bernhard era A.(nna) E’ morta A.(nna) dunque. Singhiozzo disperatamente.  La moglie di B.(enrhard) mi offre delle caramelle euforizzanti e vuole leggermi la mano.

–     Vedo che ti aspetta l’inferno Federico! –

mi dice e mi mostra sul palmo una piccola concavità scintillante di sudore. Questa è la prova che secondo lei andrò dritto all’inferno.

Piango per la morte della Paciocca. Le sue cosce meravigliose, le sue tette possenti, tenerissimo rifugio di tutte le mie malinconie… Ed ora è morta, non c’è più, non la rivedrò più!

–     Ah Federico dice ancora la signora B.(enrhard) – perché trascuri la tua povera mamma? –

Entra a passo di danza un omaccione in camice bianco, una rada barbetta gli incornicia il faccione rotondo sudato. Ha un’aria sudicia, in braccio tiene cos’è, una bambina, una bambola, una sagoma di legno nero? A me sembra una bambina morta oppure un pupazzo perché immobile, rigido…»

Così si interrompe questo sogno, incredibilmente rivelatorio sul ruolo che Anna Giovannini interpretava nell’inconscio e quindi nella vita di Fellini.

Non so se alla fine la signora avesse dei rimpianti, forse qualcuno. Però posso testimoniare che quando mi parlava di Federico il suo tono era sempre vibrante, emozionato, come nel racconto di quel loro primo e fatale incrocio di sguardi al Caffè Ruschena.


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