Non sbagliare fascismo per non sbagliare anti-fascismo

0 0
Nella comunità democratica, non da oggi, stiamo commettendo un errore che rischiamo di pagare a caro prezzo. Continuare a sostenere che questo governo sia in continuità con il ventennio fascista,  infatti, è controproducente, e non perché alcuni di loro non abbiano rigurgiti nostalgici ma per il semplice motivo che inscrivere una vicenda contemporanea nel quadro storico di un secolo fa rischia di generare confusione. Pensare che anche i più scalmanati fra loro siano eredi di Pavolini e Farinacci induce, difatti, la maggior parte delle persone a domandarsi dove siano le squadracce, l’olio di ricino, il carcere, il confino, i tribunali speciali e tutto l’orrore che caratterizzò quella stagione. E poiché non si vede in giro nulla di tutto ciò, il rischio è la banalizzazione. Il fascismo c’è, altroché, ma si declina in maniera diversa. A furia di fare la caricatura del regime mussoliniano, come se chiunque uscisse di casa venisse bastonato al pari di Gobetti, abbiamo posto i presupposti affinché non si percepisca più il pericolo che stiamo correndo. Il vero fascismo, oggi, è l’indifferenza, la banalizzazione, la cattiveria dilagante che pochi sembrano voler riconoscere e contrastare.
È fascismo parlare genericamente di libertà anziché di liberazione, perché nel concetto di liberazione è racchiusa la domanda: da chi? Da cosa? E nella risposta risiedono le basi della nostra Costituzione. È fascismo invocare genericamente le varie dittature, perché nell’aprile del ’45 l’Europa si è liberata dal nazi-fascismo, non da una dittatura a caso, e la sconfitta di quel totalitarismo guerrafondaio e criminale è stata la premessa per gli otto decenni di pace che ne sono seguiti. È fascismo irridere i pacifisti, e questo è un punto dolente, perché la pace e la giustizia sociale erano i capisaldi della Resistenza, il suo lascito più grande e il suo programma politico, nel quale, quando venne redatta la Costituzione, tutti i partiti rappresentati all’Assemblea Costituente si riconoscevano.
È fascismo porre il comunismo italiano sullo stesso piano di quello sovietico, perché il presidente della Costituente si chiamava Umberto Terracini, colei che volle il passaggio cruciale dell’articolo 3 si chiamava Teresa “Chicchi” Mattei e l’articolo 7 è merito di Togliatti, a dimostrazione di quale sia stato il ruolo dei comunisti italiani nel ritorno alla democrazia. Senza contare che l’amnistia nei confronti dei fascisti fu varata dallo stesso Togliatti (all’epoca ministro di Grazia e Giustizia), al fine di scongiurare vendette e nuovi bagni di sangue, benché molti esponenti del suo partito avessero patito il carcere e il confino e visto morire compagne e compagni in seguito a torture indicibili. Ed è fascismo, infine, concedere, sempre ma soprattutto il 25 aprile, lo stesso spazio a chi ha rischiato la vita per garantirci un domani diverso e migliore e a coloro che calpestano quotidianamente quell’eredità. Questa non è par condicio: è il disconoscimento della nostra storia, il più grave insulto che si possa arrecare alla Resistenza e la sconfessione del ruolo dei partigiani nella riconquista della dignità, prim’ancora che della libertà, della Patria (sì, Patria è una parola di sinistra e i partigiani si definivano “patrioti”), trascinata nel fango da chi ci aveva condotto in guerra al fianco di Hitler.
Spiace dirlo, ma degli insegnamenti della Resistenza e della lotta di Liberazione oggi è rimasto poco o nulla. Per questo, essendo venuta meno la tensione morale che ci ha caratterizzato per decenni, stiamo sbagliando anti-fascismo. Il fascismo odierno, infatti, non marcia su Roma, non conquista l’Etiopia con l’iprite, non vara le Leggi razziali e non mette fuorilegge i partiti d’opposizione, almeno in Italia. Il fascismo odierno mira allo svuotamento della democrazia dall’interno, a cominciare dall’attacco alle istituzioni e dalla riduzione del Parlamento a una sorta di orpello. Punta su una scuola che, anziché forgiare lo spirito critico e valorizzare l’ansia di riscatto degli ultimi e degli esclusi, educa all’obbedienza e alla passività. Contrasta i giovani, perché non si lasciano irreggimentare e sono più difficili da controllare, non avendo oltretutto niente da perdere. Vede la progressiva scomparsa del giornalismo, ridottosi a una professione in cui i pochi che pongono domande vengono irrisi dai loro stessi colleghi e, naturalmente, non fanno carriera. Ma, soprattutto, è erede di quella Genova democratica e resistenziale che nell’estate del 2001 venne trasformata in una città sotto assedio, con l’istituzione di fatto di alcune zone franche senza Stato né legge nelle quali verificò quella che, pur non esistendo ancora il reato di tortura, qualunque esperto della materia non ha esitato a definire tale.
Se non partiamo da qui, ci renderemo ridicoli, con denunce che non saranno ascoltate perché non saranno credute. L’anti-fascismo, come valore permanente e basilare del nostro stare insieme, è qualcosa su cui non si può scherzare, qualcosa che non può essere svilito. Significa, gramscianamente, odiare gli indifferenti e ribadire l’importanza della democrazia come principio sacro e imprescindibile. Altrimenti un giorno, in questo Paese che non vota più, non partecipa più e sostanzialmente non ci crede più, ci troveremo spogliati di ogni diritto e non capiremo il perché.

Iscriviti alla Newsletter di Articolo21