Aborto. Una sentenza che non ci fermerà

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In questo difficilissimo periodo storico, bastano pochi minuti per cancellare anni ed anni di battaglie per i diritti civili delle donne.
I minuti che occorrono per leggere un dispositivo di sentenza.
E’ accaduto oggi, nella “civilissima” America, dove la Corte Suprema ha bandito per tutte la libertà femminile di scegliere il proprio futuro, conquistata con decenni di manifestazioni di piazza e, purtroppo, col dolore di tante morti.
E così, dopo 50 anni, torna ad imperare la sub – cultura maschilista e ginegofobica.
« La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto» scrivono i giudici d’oltreoceano, decidendo il caso «Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization» e confermando la legge del Mississippi che vieta l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane.

Il ricorso era stato presentato dall’unica clinica di tutto lo stato alla quale le donne potevano accedere per accedere al servizio sanitario, che per i magistrati americani “Presenta una profonda questione morale.”

Ma l’aborto non è una questione morale, come non lo sono i diritti delle donne, fra cui quello di poter decidere liberamente della propria vita come dovrebbe poter fare ogni altro individuo su questa terra.
Diritti che per essere considerati tali non possono discendere da una concessione autoritativa, ma sono insiti nell’essere umano, per il solo fatto di nascere ed esistere ancorchè di sesso femminile.
Fino a quando resisterà questo principio di uguaglianza, che è basilare per l’evoluzione giuridica dei nostri ordinamenti ed ha motivato le più imponenti rivoluzioni della storia, varrà ancora la pena protestare e tornare a reclamare i nostri diritti per le strade.

Ce ne sarà bisogno, considerato che in 26 stati americani torneranno in vigore leggi restrittive al riguardo, perchè “La costituzione non proibisce ai cittadini di ciascuno stato di regolare o proibire l’aborto».
Oltre ai 26 stati proibizionisti, nei complessivi 50 confederati ben 9 hanno limitazioni che fino ad oggi ancora sospese, ma che ora potrebbero diventare effettive, mentre 13 prevedono i cosiddetti «divieti dormienti», ovvero norme limitative che entreranno in vigore al massimo fra 30 giorni ( chiamate anche trigger laws) e che si applicheranno a tutte le richieste di interruzione di gravidanza, tranne i casi in cui sarà in pericolo la vita della richiedente.
Le parole del procuratore generale del Texas, Ken Paxton, suonano come una minaccia quando dichiara ai media che le strutture in cui si potrà praticare l’aborto ne risponderanno « penalmente a partire da oggi».
Ma allora è il potere ad essere diventato la vera questione morale in questo mondo disumano, insieme a chi lo detiene ed ogni giorno ordina, proibisce, sanziona, senza neppure porsi minimamente il problema di chi subisce, inerme e senza colpa, gli effetti di queste egemonie.

Un mondo in cui non solo non si progredisce, nonostante le quotidiane stentoree dichiarazioni di intenti, ma si torna indietro verso l’oscuramento della dignità femminile.
In cui non bastavano la violenza, le guerre, la diseguaglianza economica e sociale, la sottomissione ai regimi e la povertà a ledere i fondamentali diritti delle donne rendendole vulnerabili.
Ci voleva l’ennesima prova di questo aberrante sistema, globale e sessista, che non perde occasione per sopraffare l’autodeterminazione femminile.
All’interno del quale la nazione più potente e ricca decide che da oggi la donna è ancora più oggetto, da continuare a sfruttare ma nel contempo da tenere più fermamente sotto controllo.
Una sentenza ingiusta e così poco lungimirante da non comprendere che tutto questo non riuscirà a fermare l’emancipazione femminile.
Così macroscopicamente ottusa da non prevedere che tutto questo non farà che aumentare il coraggio di resistere e la forza di continuare a combattere ancora per essere un giorno finalmente libere.

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