Afghanistan un anno dopo. Con i talebani e senza più diritti. Oggi incontro a Milano

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Afghanistan. Alzi la mano chi riesce a posizionarlo su una cartina del mondo, chi ha letto un articolo su questa nazione negli ultimi 3 mesi. Pochi, pochissimi. Con l’eccezione dell’uccisione di Al-Zawahiri, il vecchio numero due di Al Qaeda, scovato dai droni statunitensi a Kabul, l’Afghanistan è diventato un buco nero dove sono sprofondati i diritti e le speranze di una popolazione stremata da decenni di guerra. Una modalità di “nuova guerra”, con potenze esterne che provano ad usare le pedine autoctone – gruppi etnici, bande paramilitari, criminalità organizzata, contrabbandieri, terroristi – ma che non riuscendo ad imporre la loro “pace” lasciano che il conflitto si prolunghi all’infinito.

È passato un anno da quando una pasticciata e precipitosa ritirata delle truppe straniere, in primis quelle statunitensi, ha spalancato le porte al vecchio potere talebano. Qualche lacrima per i bimbi lanciati al di là del muro di recinzione dell’aeroporto di Kabul, un po’ di indignazione per gli aerei in fuga dalla nuova Saigon stipati come i carri bestiame e poi è calato il silenzio. Era scritto che i talebani avrebbero riportato le pratiche più odiose, razziste, machiste (continuate voi l’elenco)… e così è stato. “Non potete capire cosa significhi essere ridotte a un pezzo di carne, macchine per fare figli” ha raccontato a Barbara Schiavulli, giornalista di Radio Bullets, una giovane afgana a cui non sarà più concesso di studiare per ordine dell’Emirato. Un altro giornalista conoscitore di Afghanistan come Giuliano Battiston ci ricorda che occorre leggere bene le statistiche che parlano di un calo delle vittime di violenze belliche: la pax talebana diventa repressione mirata, sparizione forzata, galera per gli oppositori, per chi non viene ritenuto fedele alla morale, per i giornalisti.

Per tutti questi motivi – e per qualche altro di cui parleremo fra poco – Articolo21 sarà insieme alla Fondazione Diritti Umani e ad Amnesty International Italia domenica 14 agosto a Milano per incontrare Fatima Haidari. Per ricordare innanzitutto che malgrado l’invasione russa in Ucraina ci sono altri conflitti. Conflitti di cui, almeno in parte, le nazioni occidentali sono responsabili.

Fatima Haidari è una giovane donna afgana rifugiata in Italia dal settembre scorso. Attenzione alle date: vuol dire che per alcune settimane ha rischiato di essere catturata dai talebani. Perché? Perché era diventata un target: come tante bambine ha potuto andare a scuola poco, ma la sua tenacia ha avuto la meglio e grazie all’inglese imparato rocambolescamente è riuscita a diventare una guida turistica. Una cosa normale ai nostri occhi, un pericolo da estirpare per gli estremisti afgani.

La sua storia ci dà un ulteriore spunto di attualità: Fatima vive qui grazie ad un permesso temporaneo da rifugiata:  scappava da una guerra, era nella black list dei talebani, la sua condizione di donna riduceva automaticamente i suoi diritti. Perché vale per l’Afghanistan e non per altre zone del mondo? Il diritto a trovare un rifugio qui se nel proprio paese si rischia la libertà e la vita dovrebbe valere per tutti. Dovrebbe.

L’incontro con Fatima Haidani si terrà domenica 14 agosto alle 21, all’interno della rassegna del Comune di Milano “Milano è Viva – Estate al Castello”, come introduzione al concerto SCOVER con Giovanni Falzone Mosche Elettriche + Winds. Ingresso libero con libera donazione. Grazie a Musicamoforsi per la collaborazione. Mediapartner Radio Popolare.

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