Iran e Brasile: paradossi della democrazia

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Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello (..) Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l’angelo dagli occhi tristi. Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. (..) Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo copriva.

I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.– Viva la libertà! – gridarono i due adulti.

Il piccolo, lui, taceva. (..) A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte. (..)

Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…

Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.”

Le notizie delle impiccagioni che si susseguono in Iran, che derubano della vita i giovanissimi manifestanti, come il 22enne Mohammad Karami e il 20enne Mohammad Hosseini, accusati di “inimicizia contro Dio”, mi hanno fatto tornare alla mente l’episodio terribile riportato da Elie Wiesel nel libro “la notte” in cui rende testimonianza della sua esperienza di deportato ad Auschwitz. Mi sono chiesto quanto è durata la resistenza alla morte di questi giovani, se anch’essi sono restati a lottare fra la vita e la morte sotto gli occhi impassibili del loro boia. La crudeltà del regime iraniano, non ha niente a che invidiare rispetto a quella praticata dalle S.S. Anche nella prigione di Teheran deve essere risuonata la domanda di Auschwitz: Dio dov’è? La risposta è la stessa che avvertì il giovane Wiesel: “Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca..”

Malgrado la brutalità della repressione operata dal regime nazi-islamico degli Ayatollah, la resistenza del popolo iraniano, che non accetta più di essere soggiogato dalla struttura autoritaria e disumana del potere teocratico, non è stata spezzata. In questa parte del mondo si lotta e si affrontano sofferenze inaudite per smantellare quelle strutture autoritarie del potere che soffocano i diritti umani e oltraggiano la dignità della persona. In altre parole è in atto una lotta, analoga alla Resistenza, per conquistare la libertà ed insediare delle istituzioni democratiche. Invece, in altre parti del mondo, dove la libertà è stata insediata e garantita da Costituzioni democratiche, in vario modo realizzate nella Storia, la democrazia viene erosa da un male oscuro, vilipesa, infamata; esplodono delle vere e proprie ribellioni popolari che aggrediscono le istituzioni ed i simboli stessi della democrazia costituzionale. L’episodio più eclatante è stato l’assalto squadristico compiuto domenica scorsa dai seguaci di Bolsonaro, che hanno assaltato il Parlamento, la Corte Costituzionale ed il palazzo del Governo per cercare di rovesciare un governo democraticamente eletto, guidato da persone di provata fede democratica. Si è trattato di una replica della “marcia su Roma”, che non ha ottenuto l’effetto sperato perché in Brasile mancava un Re, che potesse dare una mano ai golpisti. Quello che è avvenuto in Brasile, però non è un fatto isolato, basti pensare all’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Un po’ dappertutto ci sono rigurgiti di fascismo che assediano democrazie consolidate e mettono in discussione i valori fondamentali portati dalle Costituzioni e dalle carte dei diritti. Il sentimento di dispregio della democrazia è penetrato anche nel ridotto dell’Unione Europea, dove stiamo sperimentando, in Ungheria ed in Polonia, un nuovo modello di “democrazia illiberale”, che rischia di essere imitato dai nuovi governi di Svezia e Italia. Il paradosso è che mentre in alcune parti del mondo si lotta per abbassare le forche, in altre parti del mondo, dove la civiltà giuridica le ha abbassate, si lotta per ripristinarle. Dobbiamo chiederci da dove viene questo male oscuro, quali sono le sue cause profonde? Quando è cominciato questo percorso di indebolimento della democrazia e cosa lo ha generato?

Forse quando abbiamo accettato l’unione incestuosa fra la democrazia e la guerra!

*Articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 13 gennaio con il titolo “Le democrazie: il male oscuro”


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