CGIL: una comunità che si ritrova

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“Eccoci”, come recitava uno dei titoli più riusciti dell’Unità, quando Enrico Berlinguer, tre mesi prima di spegnersi tragicamente a Padova, convocava in piazza il PCI contro il Decreto di San valentino, quello sulla Scala mobile, targato Bettino Craxi. Siamo di nuovo in piazza, proprio come un anno fa, con una guerra tremenda che scandisce la nostra quotidianità, una pandemia non ancora alle spalle, un mondo del lavoro atomizzato e ridotto in ginocchio dalle crisi a ripetizione cui abbiamo assistito negli ultimi anni e una disperazione sociale ormai tangibile ovunque. Eppure ci siamo ancora. Ci siamo per manifestare contro tutti i fascismi, i razzismi e le derive xenofobe e autoritarie che dilagano dappertutto. Ci siamo per ricordare a chi un anno fa assaltò la sede della CGIL che siamo sempre stati, siamo e saremo sempre più di loro. Ci siamo per ritrovare il calore umano di una comunità, benché ferita, divisa, disillusa, provata da una sconfitta elettorale senza precedenti e incapace di essere unita in un momento così delicato. Ci siamo per provare a ricostruire, al di là di tutto, per ritrovare un’identità, una passione condivisa, l’essenza di un percorso collettivo che sembra essersi smarrito. Ci siamo per la libertà d’informazione, baluardo messo gravemente in discussione in questi vent’anni e oggi minato anche dalla propaganda di troppi colleghi e colleghe che, anziché svolgere al meglio la nostra professione, si piegano alla logica del sensazionalismo a buon mercato, della notizia urlata o, peggio ancora, dell’aggressione nei confronti dei non allineati, dei pacifisti, di chi a un mondo così ingiusto, sbagliato e colmo di disuguaglianze non intende rassegnarsi. Ci siamo in attesa di un’oceanica manifestazione per la pace, cui abbiamo già aderito e parteciperemo a prescindere dai nomi degli organizzatori, con un’unica bandiera, quella arcobaleno, e senza alcun riferimento partitico. Ci siamo come siamo sempre stati in piazza fin da quando esistiamo: per unire la nostra voce, per essere la voce di chi non ne ha, per portare una testimonianza, per parlare con le cittadine e i cittadini che tante e tanti, ahinoi, tendono a snobbare, per guardare negli occhi gli esclusi, per prenderci cura del prossimo e per svolgere al meglio il nostro lavoro. Ci siamo per solidarietà, per affetto, per vicinanza umana e professionale nei confronti di Maurizio Landini e di un mondo che sentiamo vicino ma anche perché non vogliamo arrenderci a ciò che vediamo ogni giorno. Ci siamo con il nostro carico di preoccupazioni relative al governo che sta nascendo, verso cui non nutriamo alcun pregiudizio ma di cui abbiamo ottimi motivi per avere più di un timore. Ci siamo per far loro presente che non abbiamo mai taciuto e non taceremo mai, in quanto i diritti dei lavoratori e delle minoranze sono la nostra ragione di esistere e continueranno a esserlo, al di là di chi siano i titolari dei vari dicasteri e di colei o colui che sieda a Palazzo Chigi. Ci siamo, a dodici mesi di distanza dal sabato che fornì una dimostrazione plastica di fin dove possa spingersi la furia di chi non ha il senso della democrazia e dello stare insieme, per far presente che saremo noi a vigilare sulla tenuta dei principî basilari della Costituzione, senza bisogno di interferenze straniere, francamente sgradevoli e oltretutto provenienti da pulpiti non proprio attendibili. Ci siamo e vediamo uomini e donne con molte cicatrici nell’anima e sul viso: il Covid, il precariato, le chiusure di molteplici attività, la fatica ad arrivare alla fine del mese, l’ansia per le nuove generazioni, il senso di un domani che potrebbe non arrivare mai e tante, troppe altre incertezze che stanno devastando il nostro tessuto sociale e civile. Ci siamo perché, ancora una volta, avvertiamo il dovere morale e civile di tenere insieme ciò che altri hanno cercato, spesso riuscendoci pure, di dividere. Abbiamo un’idea diversa della sinistra e della democrazia: crediamo che le differenze costituiscano un punto di forza e non un motivo di divisione, ci illudiamo ancora che si possa ricostruire ciò che due decenni di errori ha strappato e guardiamo con ottimismo ai giovani che quasi nessuno considera, se non quando riempiono le piazze di colori, musica e idee, salvo poi continuare a ignorarli e a irriderli, se non peggio. Ci siamo, e questo è bene dirlo, perché di insulti e manganelli ne abbiamo visti troppi in questi anni e non è così che può avere un senso il nostro essere italiani. Ci siamo per una miriade di motivi, ciascuna e ciascuno ha i suoi, con la speranza che questa moltitudine possa e voglia ancora occuparsi di politica, che possa rinascere anche da qui la sinistra che lo scorso 25 settembre è venuta meno e che quel che resta di partiti sempre più autoreferenziali abbia ancora la capacità di porre l’orecchio a terra, comprendendo il disagio di chi scende in piazza ma, più che mai, di chi rimane a casa perché non si fida più di niente e di nessuno. Una democrazia senza popolo,  infatti, non ha futuro. Una democrazia senza elettori ed elettrici non è tale: è un simulacro. Una democrazia o si prende cura di chi si sente abbandonato da chiunque o, progressivamente, subisce uno svuotamento dall’interno. Non siamo nel contesto di un secolo fa, ci mancherebbe altro, ma anche allora l’abisso è iniziato così: dal vuoto, dallo sconforto, dalla disaffezione corale nei confronti di ciò che tutte e tutti, invece, dovremmo difendere. Per questo, anche oggi, siamo scesi in piazza accanto alle compagne e ai compagni della CGIL, senza manie di protagonismo, con l’unico intento di far percepire la nostra vicinanza e il nostro desiderio di essere una piccola infrastruttura del cambiamento di cui avvertiamo il bisogno. Altre piazze verranno convocate nei prossimi mesi e noi andremo anche lì, ripartendo dal basso. Di predicatori dall’alto, difatti, non ne abbiamo bisogno: hanno già arrecato abbastanza danni, senza mai compiere l’ombra di un’autocritica. Le nuove generazioni chiedono altro e noi abbiamo il dovere di ascoltarle, con l’auspicio che i nostri mondi tornino finalmente a prendersi per mano.

Credits foto @CgilNazionale

 


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