Ezio Bosso e la vittoria della luce

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Non so perché, forse per assonanza di idee, ma le affermazioni di Ezio Bosso relative al dopo, a un domani che purtroppo non avrà modo di conoscere, mi hanno ricordato le parole scritte da Aldo Moro nell’ultima lettera rivolta alla moglie Noretta. Quei riferimenti alla luce, al domani, quel proposito di incontrarsi nuovamente, come un presagio della fine che in entrambi i casi, purtroppo, era imminente: due uomini diversissimi ma accomunati, immagino, dalle stesse aspirazioni. Mettendo a confronto i due testi, ho avuto la precisa impressione di due persone coscienti di essere arrivati al capolinea, eppure ancora disperatamente innamorate di quel sogno chiamato vita cui un male socio-politico nel caso dello statista pugliese e un demone fisico nel caso del musicista torinese li hanno costretti a rinunciare.
Ezio Bosso era musica in ogni sua fibra. Era armonia, talento, gentilezza, era la poesia di ogni singola nota e la meraviglia dello stupore che riusciva a suscitare sempre intorno a sé, benché la malattia lo stesse minando e i movimenti divenissero di volta in volta più difficoltosi. Tuttavia non si arrendeva, Ezio, non ha mai smesso di inseguire una speranza, un’emozione, un sogno, non ha mai smesso di credere in se stesso e, soprattutto, di esserlo, lui, figlio di un operaio, che grazie all’arte e al talento era riuscito ad affermarsi in un campo così difficile.
Suonava il contrabbasso, poi ha dovuto smettere, è passato al pianoforte, infine si è dedicato alla direzione d’orchestra e mai una volta che abbia steccato, commesso un qualche errore, mai una volta che abbia ceduto allo sconforto o alla rabbia per un corpo che non rispondeva quasi più al suo desiderio di libertà.
Ezio Bosso è stato una rondine, un manifesto discreto della speranza, un simbolo e un punto di riferimento per quanti, troppo spesso, si lasciano andare allo sconforto per ragioni risibili. Ora più che mai, ci fa sentire piccoli, fragili, persino un po’ stupidi. La sua grandezza stava, infatti, nel rendere normale ciò che normale non era affatto, nel far sembrare facili cose difficilissime, nella disponibilità con cui si prestava a ogni esibizione e nella profondità con la quale parlava, senza mai annoiare gli spettatori, senza mai darsi troppa importanza, anteponendo la sua amata musica a tutto il resto e trovando in essa metafore e spunti di riflessione che sapientemente dispensava e mescolava a considerazioni sul mondo e sul futuro.
Ezio era un uomo innamorato del domani, con lo sguardo sempre rivolto in avanti, un coraggio leonino e una tempra garibaldina al cospetto delle avversità. Non lo ha piegato la malattia, non lo ha fermato la sofferenza, solo la morte ha avuto la meglio sul suo cammino ma neanche questo è del tutto vero perché Ezio rimarrà, al pari della sua musica, delle sue esibizioni, della passione civile che ha saputo sprigionare e del fatto che, di fronte a lui, anche gli odiatori, eccetto qualche raro caso, sono stati costretti a prendersi un giorno di riposo perché proprio non è possibile voler male a uno così.
Ezio era una persona rara, un amico speciale anche per chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo di persona, uno dei rari esempi di questo tempo arido, uno di quei personaggi cui Enzo Biagi avrebbe detto: “Sono fiero di essere un tuo contemporaneo”.

Ora che se n’è andato, a quarantotto anni, ci interroghiamo sul vuoto. Un silenzio e un dolore che neanche la musica più bella può colmare.

P.S. Un abbraccio di cuore ai familiari di Sandro Petrone, a sua volta innamorato della musica. Un collega che coniugava una squisita umanità a un notevole senso della misura. Ci mancherà.

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