L’Italia delle barbarie e dell’odio: l’involuzione di una nazione

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Stiamo vivendo un fenomeno sempre più grave ed allarmante: l’Italia dimostra di perdere la sua identità di nazione civile e democratica nel regredire verso reazioni scomposte di intolleranza, odio e sentimenti razzisti. Si moltiplicano ogni giorno di più le minacce di morte  verso chi fa semplicemente il proprio dovere di giornalista che informa e racconta fatti di cronaca. Insegnanti capaci di discriminare un allievo perché “nero”.

In Rai gli ascoltatori protestano perché si continua a parlare di ebrei. Assistiamo ad una deriva preoccupante del pensiero collettivo mentre la politica appare impotente e incapace di produrre gli anticorpi per evitare  un contagio più diffuso, se non a volte lei stessa responsabile nel fomentare azioni che assumono una valenza  negativa e sinonimo di violenza verbale nei migliori dei casi. Un’Italia attraversata da episodi di intolleranza in cui tutto viene amplificato sui social mentre chi cerca di riportare la verità viene pesantemente minacciato, come è accaduto a Monica Andolfatto, giornalista del Gazzettino e segretaria del Sindacato Giornalisti Veneto che per aver scritto sulla mafia e la criminalità infiltrata nel Veneto, era stato dato l’ordine di spararle.

La solidarietà da parte della categoria della stampa non si è fatta attendere: «Esprimiamo la vicinanza e la solidarietà della Federazione nazionale della Stampa italiana alla collega Monica Andolfatto, cronista del Gazzettino, segretaria del Sindacato Giornalisti Veneto, finita per ben due volte, come si apprende dopo gli ultimi arresti, nel mirino della criminalità organizzata che si era infiltrata in regione – scrivono  Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della FNSI – e ringraziamo le forze dell’ordine e la magistratura per il grande lavoro svolto sul territorio che ha consentito di assicurare alla giustizia chi, per non essere disturbato nella sua attività criminale, voleva mettere a tacere la collega. E chiediamo alle autorità di garantire a lei e a tutti i cronisti della regione di poter svolgere in sicurezza il loro lavoro. A Monica Andolfatto diciamo che non abbiamo alcun dubbio che continuerà a onorare con la solita determinazione e passione il suo dovere di informare i cittadini».

Anche il Sindacato Giornalisti del Trentino Alto Adige si è unito per esprimere vicinanza e solidarietà alla collega, facendosi portavoce del messaggio Rocco Cerone segretario regionale.  I giornalisti d’inchiesta sono sempre più minacciati da chi opera nell’illegalità in un paese dove la criminalità si è radicata nel tessuto sociale ed economico e il dovere di un cronista è quello di segnalarlo e scrivere , senza per questo dover subire minacce e intimidazioni. Monica Andolfatto risponde che «serve reagire tutti insieme e l’appello lanciato da Avviso Pubblico e Corriere del Veneto è un’iniziativa positiva, concreta, che va sostenuta. Occorre fare squadra. Lo ripeto sempre. Perché ci credo. Così intendo il mio lavoro di cronista. Io ci sono perché c’è il mio giornale, ci sono i miei colleghi. E non a caso la rabbia del casalese Donadio si scaglia oltre che contro di me, contro il giornale, contro il direttore.

Il giornale, il mio al pari degli altri, è frutto dell’impegno anche dei collaboratori, le nostre antenne alzate nei paesi piccoli e grandi, che sono ancora più esposti perché vivono i luoghi di cui scrivono, che hanno aiutato pure me a capire e decifrare e che sono sempre più sottopagati. Ecco io non solo sola perché sono una giornalista che lavora con una grande squadra. E’ questa la mia forza». Le razioni scomposte e brutali sono un segnale preoccupante da non sottovalutare perché vanno a colpire e limitare la libertà di tutti, non solo della persona che esercita un diritto – dovere garantito dalla Costituzione; libertà che va difesa ad oltranza. Così come deve essere anche per la dignità delle persone senza discriminazioni per il colore della pelle. Giuseppe Giulietti scrive a riguardo: «Voglio ringraziare pubblicamente Padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento, e Padre Enzo Fortunato, direttore della rivista San Francesco per la limpida e rigorosa risposta che hanno voluto dare al triste e tragico episodio di razzismo che si è consumato in una scuola di Foligno. Quel bambino umiliato davanti alla classe solo perché di colore “Nero” è una ferita nei cuori di ancora coltiva i valori dell’accoglienza, dell’inclusione, della fraternità. Non si è trattato di un “esperimento”, ma della deliberata volontà di offendere ed emarginare un bambino arrivato da un altro continente.

Ad aggravare la situazione le parole di dileggio e di oltraggio dedicate alla sua sorellina chiamata “Scimmia negra”. Non si tratta di episodi isolati, ma di una lunga catena di oscenità alimentate da chi diffonde i germi del razzismo e della paura per conquistare facili consensi elettorali. Quel maestro e i suoi imitatori non andrebbero solo sospesi o licenziati dai loro incarichi, ma inviati a svolgere anni di servizio civile in Africa, nelle missioni dove ogni giorno si combatte per salvare una vita, per contrastare le emergenze umanitarie, per porre rimedio ai guasti provocati dai trafficanti di armi e di umanità, quasi sempre uomini bianchi che hanno deciso di “Derubarli a casa loro”. Questo clima di odio e di razzismo è alimentato anche da chi, nella politica e nel giornalismo, ha deciso di usare le parole come pietre e di ferire a morte differenze e diversità. “Non scriviamo degli altri quel che non vorremmo fosse scritto di noi”, recita così l’introduzione della Carta di Assisi (fortemente voluta dai francescani e dall’Associazione Articolo 21,) un decalogo che si propone di contrastare il linguaggio dell’odio, di disinquinare le paludi dove prosperano i veleni che alimentano i tanti maestri di Foligno che vorrebbero costruire muri e gabbie. Spetta a ciascuno di noi contrastarli usando le pietre e le parole non per ferirli, ma per moltiplicare i ponti del dialogo, dell’incontro, dell’accoglienza. Questa oggi è davvero la nuova frontiera che deve vedere insieme credenti e non credenti, senza distinzione di parte, di partito, di colore della pelle.» La società civile dovrebbe immediatamente reagire quando accadono fatti di inaudita gravità come quello accaduto in una scuola di Foligno, così come in provincia di Napoli dove un’infermiera ha augurato la morte ad un giovane paziente di colore durante il ricovero al pronto soccorso.

Episodi non marginali che rivelano un odio profondo che si sta dilagando anche tra chi lavora nell’istruzione e nella sanità. E non casuali ma indice di un malessere sempre più diffuso tra gli italiani. Stupisce anche la reazione di alcuni radio ascoltatori durante il programma  “Fahrenheit”, di Rai Radio 3 condotto da  Loredana Lipperini mentre   parlava di Primo Levi. La redazione ha scelto di pubblicare alcuni dei messaggi ricevuti come  questo: “basta con questi ebrei”, “dovete fare cultura, non politica” La  conduttrice ha risposto che «Primo Levi è cultura. È uno dei massimi scrittori del ‘900, uno degli autori italiani più letti al mondo. Rispetto a qualche anno fa, un peggioramento: questi sms arrivavano quando parlavamo di rom. Dunque la platea dell’odio si allarga. Comunque li ho letti, li abbiamo pubblicati. Non è tolleranza, è esposizione della realtà. Questi sono ascoltatori di radio tre. Amano i libri e la musica, ma non vogliono sentir parlare di ebrei. Che piaccia o no, è la realtà, e penso sia indispensabile conoscerla. Per quanto mi riguarda, dismessi i panni della conduttrice, aggiungo: per combatterla».

La redazione approva e sostiene Loredana Lipperini: «Parole sacrosante. Perché ci avvisano su una realtà che ognuno di noi avrà visto conosciuto semplicemente prendendo un autobus, ascoltando cosa si dice, percependo gli umori: ancora non si arriva ad auspicare la soppressione delle minoranze, ma meno di un secolo fa la civile Europa imboccò quella strada. E finché non troverà un argine culturale e politico sufficientemente alto, dacché il disprezzo è pienamente rivendicato e praticato nel governo stesso, l’odio crescerà». Per combatterlo mercoledì sei marzo alle ore 11 a Padova nella sala Impastato della Banca Etica (Corso del Popolo 77) si svolgerà il dibattito “L’informazione sorgente di democrazia” dove parleranno Don Luigi Ciotti presidente di Libera, Giuseppe Giulietti presidente della Federazione nazionale della stampa e Monica Andolfatti segretaria del Sindacato giornalisti del Veneto, organizzato da Articolo 21 Veneto, Libera e Sgv. Iniziativa di avvicinamento alla Quattordicesima Giornata nazionale della Memoria in ricordo delle vittime innocenti delle mafie organizzata da Libera che si svolgerà sempre a Padova il 21 marzo 2019. Ha ragione Stefano Bartezzaghi nel suo articolo pubblicato sulle pagine di Repubblica domenica 24 febbraio: « (…) Ogni volta che parliamo non soltanto diciamo qualcosa; implicitamente diciamo anche che è possibile dire così. È il funzionamento semiotico dei linguaggi. l’uso tende a legittimare sé stesso. Il verbo, sgradevole, “sdoganare” vuole significare che quando impiego un’espressione lo faccio passare nei confini del mio discorso, la dichiaro libera di circolare». Come quelle oscene del consigliere comunale leghista Massimiliano Gallo rivolte alla cantante Emma Marrone “colpevole” di aver detto durante il suo concerto: «Aprite i porti».


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