Si vuole uccidere “Radio Radicale” un delitto doloso, premeditato, del governo giallo-verde. Appello da giornalista ai colleghi

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 Scrivo indossando svariate “casacche”: quella del cittadino con non voglio neppure più contare quante mie “primavere” alle spalle, e non so quante schede elettorali inserite nelle urne, orgoglioso di esercitare il mio sacrosanto diritto di votare; scrivo come radicale che ha ricoperto per non pochi anni qualche incarico di responsabilità politica e credo di aver fatto la mia parte, nella difesa di irrinunciabili diritti civili e umani, e nella conquista di nuovi, essenziali spazi di libertà e liberazione, a cominciare da quegli anni che sono ormai storia, in cui assicurare che in Italia ci fosse una legge che consentisse il divorzio e la possibilità di potersi creare una nuova famiglia, se la prima era “scoppiata”; scrivo da giornalista con una quantità di bollini nel tesserino rosso, e che può dire di averne viste tante e di più, in Italia e in giro per il mondo. Uno e trino, insomma; e da uno e trino rivolgo un appello: ai cittadini, ai politici, nel senso più alto e lato del termine; ai miei colleghi: quelli che nonostante i tempi che ci tocca di vivere, non hanno perso il gusto, la voglia, il “vizio” di raccontare quello che accade, di non accettare le versioni ufficiali e pelose; che si sforzano di ragionare e far uso di quella materia grigia che il padreterno o il caso (fate voi) vi ha concesso.

   Da chierico vagante: cittadini, politici, giornalisti avete/abbiamo tutti una cosa in comune: il diritto di conoscere, di vederci pienamente riconosciuto, tutelato, difeso, garantito il principio costituzionale alla conoscenza; quel principio mirabilmente riassunto nel precetto del presidente Luigi Einaudi, scolpito nelle prime pagine delle sue sempre attuali “Prediche inutili”: “Conoscere per deliberare”.

   Ce lo ha recentemente ricordato uno dei nostri più illustri filosofi e studiosi del diritto, Aldo Masullo: conoscere, ed avere la possibilità di essere conosciuti, è un diritto fondamentale inalienabile, di cui tutti siamo titolari. Non è una concessione, non è un privilegio, non è soggetto a leggi di mercato; è “sem-pli-ce-men-te” un diritto.

   Cosa accade? Accade un qualcosa di “facile”, di “semplice” da capire. Così facile, così “semplice” che non la si coglie pienamente, nella sua gravità. Accade che si vuole uccidere “Radio Radicale”. Delitto annunciato, voluto; delitto doloso, con l’aggravante della piena premeditazione. Questo, accade.

   Accade che “Radio Radicale” da svariati anni, decenni, assicura un vero e proprio servizio pubblico: consente a tutti noi, cittadini, politici, giornalisti, di “conoscere”. Essere messi nella condizione di sapere che cosa accade nelle aule parlamentari, di “illuminare” le stanze dei palazzi del potere: si chiamino palazzo Chigi, Camera dei Deputati, Senato, partiti, sindacati, movimenti, tribunali… Accade che ogni giorno ore e ore di dibattiti parlamentari, e pazienza se accade di sentire incredibili corbellerie e stupefacenti scempiaggini pronunciate da “onorevoli” e da “senatori”. Sono quelli che ci governano; ci rappresentano; esercitano il potere in nostro nome.

   Li ascoltiamo nelle sedute del Parlamento, e quando operano nelle commissioni parlamentari; nei loro congressi di partito, manifestazioni, raduni, negli eventi più o meno culturali. Ascoltiamo i magistrati che in un’aula di tribunale “offrono” ai giudici il risultato delle loro inchieste; sentiamo le difese degli imputati, possiamo giudicare la giustezza di una sentenza. Ascoltiamo dalla loro viva voce i giudici supremi della Corte Costituzionale quando sono chiamati a stabilire se una legge, un provvedimento, sono o no conformi con la Costituzione, le sedute del Consiglio Superiore della Magistratura… E’ un immenso sapere integrale, senza mediazioni, senza manipolazioni, completo e non parziale: ognuno ascolta, valuta, giudica. Non solo: grazie a un computer studenti, studiosi, storici, possono grazie a un clic, ovunque si trovino, se c’è connessione, reperire nell’immenso archivio quello o quell’altro documento; ascoltare e riascoltare la seduta di un processo, l’intervento di un parlamentare, un comizio…

   Sapere, conoscere. E’ questa la gravissima, forse imperdonabile colpa della “Radio Radicale”: aver davvero reso trasparente e conoscibile quello che accade nelle istituzioni. Conoscendo, siamo messi nella condizione di poterli meglio condizionare; ognuno può ricavare il giusto succo tra il loro “dire” e il loro “fare”.

    Il potere, tutti i poteri hanno invece bisogno del silenzio, dell’indecifrabilità, dell’ignoranza, del non sapere.

   “Radio Radicale” per trasmettere integralmente e senza interruzioni pubblicitarie, in diretta, ha stipulato da anni una convenzione con lo Stato: conoscere, come una qualunque attività legata alla democrazia, costa. Costano gli impianti; costa il personale che tiene aggiornati le delicate strumentazioni; costa andare nei “luoghi” dove si svolgono congressi, manifestazioni; costa la preziosissima azione di catalogazione, conservazione, archiviazione. La “minestra” della democrazia nelle sue varie manifestazioni costa, occorre pagarla.

    Il governo giallo-verde vuole risparmiare in democrazia. Non rinnova la convenzione, così impedisce dolosamente la conoscenza. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non saprei se per sberleffo o ignoranza letterale, dice che si deve avere il coraggio di affrontare le “leggi del mercato”. La democrazia, la conoscenza, non ha mercato. Se vuole prendere in giro, è grave. Se lo dice credendolo, lo è di più ancora. La democrazia, la conoscenza, non è una merce, non ha mercato. “Radio Radicale” ha stipulato un contratto, offre un servizio e lo garantisce. E’ l’unica a farlo. Negare la convenzione per il servizio reso, significa che si vuole che questo servizio non si faccia più. Ve la immaginate una seduta parlamentare interrotta ogni cinque minuti da uno spot pubblicitario di un’acqua minerale o di un pannolino? Ve lo immaginate un comizio di Lega o 5 Stelle, o PD o Forza Italia, e mentre interviene Matteo Salvini o Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti o Silvio Berlusconi, si invita a mangiare un hamburger o bere una bevanda gassata? La stupidità della affermazione del presidente del Consiglio si rivela da sola; l’indifferenza degli altri membri del Governo è significativa; vogliono dire una sola cosa: che vogliono impedirci di sapere, di conoscere. Hanno letterale paura della possibilità di tutti noi di poterli continuare a giudicare per quello che dicono, per quello che fanno.

   I cantori della scatola di vetro, quelli che avevano promesso che avrebbero aperto il Parlamento come una scatola di tonno, sono oggi in prima fila nel negare il diritto alla “conoscenza”. Sono gli stessi che senza batter ciglio hanno definito i giornalisti delle prostitute. Gli stessi che con grande eleganza hanno auspicato di poter divorare i giornalisti per poterli poi vomitare di gusto; gli stessi che indicono conferenze stampa senza possibilità di far domande, gli stessi che non accettano confronti e dibattiti con altri interlocutori. Hanno paura di noi, e di loro stessi, che si sappia quello che fanno, e li si giudichi per quello che fanno.

    Dunque, che può fare il cittadino, il politico, il giornalista?

Il giornalista chiede ai suoi colleghi, che spesso e volentieri fanno uso del “servizio pubblico” assicurato da “Radio Radicale” sem-pli-ce-men-te di raccontare come stanno le cose, consentire che siano conosciute.

    Il militante politico dice che sarebbe significativo se i parlamentari come preambolo, prima dei loro interventi, dicessero ognuno e tutti: “Io sono Radio Radicale”. Sarebbe bello se ogni congresso, convegno, dibattito, manifestazione che vengono dalla “Radio Radicale” registrati, diffusi e poi conservati, prevedesse uno spazio di cinque minuti per un rappresentante dell’emittente, messo così in condizione di poter spiegare alle varie platee, quello che accade: un piccolo risarcimento di conoscenza per la tanta conoscenza finora garantita e assicurata. Sarebbe bello che ogni istituzione, comune, provincia, regione, votasse un ordine del giorno in favore di “Radio Radicale”.

    Il cittadino pensa che sarebbe bello se ognuno di noi, che finora ha utilizzato quel servizio, mandasse una mail o una lettera a un giornale o al proprio parlamentare, per chiedere che sia possibile continuare a garantire questo “servizio pubblico”…

   Per una volta, solo una volta, sarebbe bello se i radicali fossero ascoltati: “Non venite a dirci bravi, lo sappiamo. Piuttosto ai vostri congressi, alle vostre manifestazioni, riservateci uno spazio dove noi si possa spiegare che cosa è successo, che cosa succede”. Non è “Radio Radicale” solo che muore: è anche il diritto di poter sapere, senza filtri, quello che accade nelle istituzioni e nelle tante piazze e agorà che voi non potete fisicamente raggiungere.

  Per tutti, e per ciascuno, vale l’hegeliano: “Hier ist die Rose, hier tanze”.


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