‘Ndrangheta, chi racconta la verità non può rischiare il carcere

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Si può essere processati due volte per aver svolto, con correttezza e rispetto delle regole, il mestiere del cronista? Purtroppo pare di sì ed è quello che sta accadendo ad Agostino Pantano (nella foto), giornalista calabrese, che ha illuminato gli affari delle cosche di Taurianova, gli intrecci con la politica, e il successivo scioglimento dell’amministrazione comunale.
In tutti questi passaggi Agostino Pantano ha assolto all’obbligo costituzionale e deontologico di informare la pubblica opinione, ricercando ogni documento utile alla comprensione dei fatti, come per altro, sin dal primo momento, ha sostenuto la stessa associazione calabrese della stampa. Per chi volesse saperne di più, la sua odissea giudiziaria è stata raccontata con puntualità e con la consueta passione civile da Nello Trocchia sul Fatto.

Nel 2010 Pantano, allora aCalabria Ora, era già stato denunciato per “diffamazione”. Naturalmente, come ormai accade a decine di giornalisti molestati, a colpi di denunce temerarie, era stato poi prosciolto. Lo stesso giudice aveva sottolineato come Pantano avesse esercitato il suo diritto, e aggiungiamo noi dovere, di raccontare e di farlo usando tutto il materiale utile alla comprensione del testo e del contesto.

Tutto risolto? No perché qualche tempo dopo si è visto recapitare una denuncia per ricettazione, in altre parole, con il dolo o con altri artifici, Pantano avrebbe usato documenti riservati per “trarne un vantaggio”. Quale sarebbe il vantaggio? Scrivere articoli. Quale sarebbe il “corpo del reato”? L’articolo medesimo nel quale erano citati brani della relazione prefettizia che avrebbe portato al decreto di scioglimento della amministrazione comunale poi firmato dal Presidente della Repubblica.

Tutte le incongruenze di questa storia sono terminate anche in una interrogazione presentata dalla senatrice Ricciuti.
Perché mai tale relazione dovrebbe essere un atto segreto? Tra l’altro quella stessa relazione era stata citata da Nello Trocchia in una sua inchiesta, che Articolo21 riprese, addirittura prima degli approfondimenti scritti da Pantano. In ogni caso, come prevedono le sentenze della stessa Corte europea, se e quando un cronista legge o entra in possesso di documenti che abbiano il requisito della“rilevanza sociale e della pubblica utilità” ha il dovere di renderli pubblici, di illuminare le oscurità.

Una notizia relativa al malaffare, alla ‘ndrangheta, alle collusioni con gli amministratori rientra pienamente in questa tipologia. Agostino Pantano, e come lui altri cronisti che hanno ricevuto la medesima imputazione, hanno svolto con correttezza il loro lavoro e non possono essere “usati” per risolvere antiche questioni e permanenti contenziosi interni agli uffici giudiziari e alle contrapposizioni tra i diversi corpi dello stato.

Se e quando un cronista entra in possesso di una notizia rilevante ha il dovere di pubblicarla.
Vale per Agostino Pantano, vale per Nuzzi e Fittipaldi quando entrano in possesso di documenti relativi alle finanze vaticane, vale per chiunque altro. “Ricettare” significa trarre un vantaggio da un possesso illecito, in questo casi l’illecito sarebbe stato consumato dalla non pubblicazione, e magari da un uso privato e corrotto delle informazioni, magari utilizzate a scopo estorsivo o ricattatorio.

La scelta di pubblicare è, nel giornalismo, la via più limpida, perché consente il diritto alla replica e alla tutela di una eventuale dignità violata. Ci auguriamo che, almeno in questo caso, il governo e il parlamento vogliano eliminare ogni incertezza ed ambiguità e tutelare, non tanto il singolo cronista, quanto l’articolo 21 della Costituzione dai troppi molestatori in circolazione.

*Fonte: “Il Fatto Quotidiano”


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