Messico: “16 cronisti morti nell’ultimo anno. Solo nella città di Vera Cruz”

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“Nell’ultimo anno in Messico, solo a Veracruz, sono morti sedici cronisti. Sempre in questo periodo ne sono scomparsi nel Paese, ben ventitré. Di loro non si hanno più notizie”. A parlare è l’esperto giornalista e scrittore José Revels. Una lunga carriera la sua. Si è occupato di temi scottanti come il traffico di droga e la collusione tra potere politico e criminalità. Lo incontriamo nella sede della rivista “Proceso” che ha fondato e diretto per anni. Oggi ha lasciato l’incarico di coordinatore a colleghi più giovani con i quali però continua a collaborare. Ha pubblicato diversi libri di cui uno dedicato al Chapo Guzman di cui la vicenda dell’arresto sta riempiendo le pagine dei giornali di tutto il mondo. Altre pubblicazioni dedicate non solo al tema del narcotraffico ma anche ai diritti umani negati nel suo Paese.

Il mestiere del giornalista, se svolto come si deve, è da sempre un mestiere pericoloso. Qui però lo è molto di più. Sparizioni, uccisioni, minacce, non si fanno mancare nulla quelli che vogliono impedire che la verità riguardante certe storie emerga.

Chi ha maggiore interesse a impedire che questo accada? “In Messico, qualsiasi cosa accade  è sempre colpa dei Narcos. Così le associazioni dei giornalisti hanno deciso di svolgere ricerche e indagini per capire se sono davvero loro i responsabili della mattanza dei reporter. Articolo 19 (la corrispondente di Art. 21 in Italia) e il CNCS (Centro Nazionale Comunicazione Sociale) hanno studiato approfonditamente il tema e quello che è emerso può apparire sorprendente per chi guarda il Messico da lontano e non conosce bene questa realtà. Le diverse ricerche concordano che i maggiori responsabili di crimini contro giornalisti e cronisti non è la malavita organizzata, ma quasi sempre i mandanti sono politici. E non parlo solo del passato. Politici e i maggiori impresari del Paese sono in testa alla triste classifica di chi sono i mandanti di delitti contro chi lavora nella stampa. Gli abusi che sono commessi contro chi fa questo mestiere hanno queste due “categorie” come maggiori responsabili. Sorprendente vero?”.

Se come scrivevamo qualche giorno fa, qui tutti sono collusi con qualcuno o qualcosa, è pure vero che non è solo la volontà di non fare emergere scheletri dagli armadi che spinge chi ha potere a difenderlo a tutti i costi. Gli affari qui vengono prima di tutto. Che poi siano legali o illegali poco importa.

“Il caso di Jesus Lemus Barajas – racconta José Reveles – è emblematico. Direttore del periodico El Tiempo, ha passato tre anni in galera in seguito a false accuse costruite ad hoc contro di lui. Nel 2008 attraverso alcuni reportage fece emergere il coinvolgimento di militari con il traffico di stupefacenti. Proprio a causa dei suoi articoli è stato preso di mira fino a quando una sera quegli stessi soldati sono andati a casa sua a prenderlo. Non avevano neppure un mandato. Catturato nello stato di Guanajuato è stato portato in un carcere di massima sicurezza dove ha trascorso 19 giorni in isolamento. Detenuto per tre anni nello stato del Michoacan, è stato liberato anche grazie all’impegno e ele pressioni di Reporter Senza Frontiere.” Se questo accadeva nel 2008, oggi poco è cambiato. Ci sono storie come quella della rivista “Contralinea” che fece emergere gli affari poco puliti del gruppo industriale Zeta Gas, da non confondere col gruppo paramilitare Los Zetas, i quali fecero di tutto per fargliela pagare, riuscendoci. Poi c’è la storia di Anabela Hernandez che a causa delle sue pubblicazioni è stata costretta a nascondersi. La maggior parte dei giornalisti in pericolo rinuncia alla protezione che offre lo Stato perché non si fida. E sono costretti quindi a nascondersi negli USA.

Di storie come queste ce ne sono un’infinità. Lydia Cacho svelò un traffico di materiale pedopornografico che vedeva coinvolti due importanti industriali: Kamel Nacif Borge e Jean Succar Kuri. Questi finanziavano le campagne elettorali di politici come Emilio Gamboa Patròn e Miguel Angel Yunes  i quali fecero di tutto per impedire alla Cacho di continuare il suo lavoro. Imprigionata illegalmente, è stata torturata e detenuta fino a quando una corte ha deliberato che non solo la detenzione ma pure il suo arresto erano illegittimi.

Ancora più emblematica, la storia di Regina Martinez: reporter proprio della rivista “Proceso”, fu picchiata e uccisa nella sua abitazione. Le autorità dissero che era morta perché aveva sorpreso un ladro in caso il quale aveva reagito picchiandola a morte. E trovarono addirittura il presunto colpevole. Solo la determinazione dei suoi colleghi e l’esame del DNA che scagionava il presunto assassino hanno evitato che la sua morte fosse archiviata come un semplice caso di cronaca nera. Di cosa si occupava Regina Martinez? Di abusi perpetrati dai militari nelle carceri messicane e di diritti umani calpestati.


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