Vecchia e analogica

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Bello e con­di­vi­si­bile l’appello sull’Europa lan­ciato sulle pagine de «il mani­fe­sto» lo scorso 22 dicem­bre. Si chiede giu­sta­mente un’inversione di rotta rispetto alle tri­sti e viru­lente poli­ti­che libe­ri­ste di que­sti anni. Uno dei ban­chi di prova dovranno essere le linee sulle que­stioni dei media, vec­chi e nuovi. Non basta appel­larsi, infatti, alle agende digi­tali se non si dà luogo a una seria visione dell’era digi­tale, facen­done l’occasione per una sta­gione di rilan­cio del lavoro intel­let­tuale e della creatività.

Per otte­nere qual­che risul­tato con­creto è dove­roso chiu­dere una volta per tutte l’età ana­lo­gica, segnata dal pre­do­mi­nio oli­go­po­li­stico di alcuni vec­chi gruppi pri­vati (da Prisa, a BSKyB, a Media­set, a Rtl, a Tf1, alla new entry polacca Tvn), non­ché delle vec­chie tele­com. Attra­verso rego­la­menti e diret­tive volti a faci­li­tare le novità, piut­to­sto che a tem­po­reg­giare in difesa degli anti­chi appa­rati. Con il rispetto dell’autonomia cul­tu­rale e della libertà di espres­sione. Neu­tra­lità della rete, soft­ware aperto, supe­ra­mento di un’idea difen­siva del diritto di autore sono gli argo­menti di cui occu­parsi e sui quali è auspi­ca­bile qual­che parola in vista delle pros­sime ele­zioni europee.

Il sin­tomo dell’urgenza di una svolta sta nella curiosa coin­ci­denza della con­vo­ca­zione del pre­si­dente della vigi­lanza Rai presso una com­mis­sione del par­la­mento Ue sulla legit­ti­mità del canone, con la situa­zione di stallo in cui stanno la pro­ce­dura di infra­zione sulla legge Gasparri (quella del 2004 sull’emittenza, finita nel mirino per la evi­dente tutela del biscione) e la recente gara per le fre­quenze tele­vi­sive. Non è bello per nes­suno pagare la tassa annuale per fruire della tele­vi­sione, ma è l’unica pos­si­bi­lità per far soprav­vi­vere l’idea del ser­vi­zio pub­blico. Quest’ultimo discu­ti­bile, diverse volte brutto e omo­lo­gato alla logica com­mer­ciale, ma un’opportunità da non but­tare via. La riforma dei ser­vizi pub­blici, tra­sfor­man­doli in bene comune per i cit­ta­dini, è un obiet­tivo da met­tere tra le prio­rità in Ita­lia e in Europa. In verità, il «caso» ita­liano – reso cla­mo­roso dalla vicenda di Ber­lu­sconi — è la decli­na­zione nazio­nale di una pato­lo­gia gene­rale: il non avere fatto i conti con la «rivo­lu­zione» digi­tale, rele­gan­dola a mera pro­se­cu­zione dello sta­tus quo con qual­che oppor­tu­nità tec­nica aggiun­tiva. Non ha senso con­ti­nuare sine die un dibat­tito dav­vero datato come quello sugli aiuti di stato, in un set­tore domi­nato da cul­ture che più pri­vate non si può.

L’Europa va pro­prio a due velo­cità, e non solo sui temi eco­no­mici. Anche il rap­porto tra pub­blico e pri­vato è asim­me­trico, natu­ral­mente a favore di quest’ultimo. Nella sta­gione glo­bale, il vec­chio con­ti­nente rischia di essere stri­to­lato tra i grandi gruppi sovra­na­zio­nali e i tycoon del medioevo media­tico, e di imbal­sa­marsi senza spe­ranze. Ecco per­ché le sini­stre e le forze demo­cra­ti­che dovreb­bero occu­par­sene, met­tendo in pra­tica le stesse indi­ca­zioni con­di­vise nella con­fe­renza di Lisbona del 2000, sulla società della cono­scenza. Etienne Bali­bar – primo fir­ma­ta­rio dell’appello citato– scrisse tanti anni fa con Louis Althus­ser un libro fon­da­men­tale «Lire le Capi­tal»: ma il capi­tale oggi è soprat­tutto cogni­tivo, e da qui è d’obbligo passare.

P.S. Il pre­si­dente del con­si­glio Enrico Letta ha annun­ciato nell’incontro con la stampa di fine anno che nel pro­gramma di governo (in corso ora di nego­ziato) si appa­le­serà il capi­tolo san­gui­no­lento del con­flitto di interessi.

L’ancora della destra e il pec­cato mor­tale della sini­stra. «Fusse che fusse la vorta bbona», come diceva il com­pianto Nino Man­fredi? Temiamo di no, ma in caso di smen­tite di fatto siamo pronti a fare pub­blica ammenda e a per­cor­rere a piedi la via Franchigena.

http://ilmanifesto.it/vecchia-e-analogica/


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