Le ministre “multinazionali” del governo Letta, l’italo-tedesca Idem ministra delle pari opportunità e l’italo-congolese Kyenge dell’integrazione, sono sulla cresta dell’onda per le loro iniziative sulla cittadinanza e sulla lotta al sessismo. Che a loro costano offese da parte della destra affarista o razzista: si tratti di «una canoista al governo» (loro preferiscono le navi corsare, la pirateria), o di «una massaia del c.» e magari nera, secondo il linguaggio dell’europarlamentare Borghezio, gonfio di nostalgia rosemberghiana. Perciò vorrei complimentarmi con Articolo 21, che senza fare retorica sulla “società civile”, ha supplito o integrato la politica, raccogliendo 130mila firme contro il razzismo, consegnate a Strasburgo al presidente dell’europarlamento Schulz.
Egidio Nifoi, Milano
Caro Nifoi, mentre l’Europa è in crisi e l’Italia ha milioni di giovani senza lavoro e senza studio, è certo d’interesse primario che il presidente Letta ottenga il via libera dai partner affinché gli sgravi fiscali per incentivare le nuove assunzioni al lavoro siano considerati fuori dal debito pubblico di cui dobbiamo render conto all’Unione. Questa è la priorità italiana: più lavoro e più sviluppo. Ma non è che il resto sia contorno. Il resto, e non solo le riforme istituzionali e regolamentari, è l’orchestra, che deve suonare lo stesso spartito. Sviluppo, infatti, è anche integrazione delle norme sulla cittadinanza.
Non si tratta di sostituire lo “ius sanguinis” con lo “ius soli”, che creerebbe un caos inaccettabile in Italia e in Europa (ogni nuovo cittadino italiano sarebbe poi libero di trasferirsi in qualsiasi stato dell’Unione). Si tratta – come ha osservato l’ambasciatore Romano – di integrare e correggere il nostro “ius sanguinis” nel modo più consono alle «caratteristiche di un paese in cui la popolazione cresce ormai soltanto grazie alla presenza di una forte comunità straniera». Qui sta l’integrazione. Essa non è l’equivalente di meticciato, cultura a noi estranea, né di apertura delle porte a chiunque. Allo stesso modo, l’intenzione della ministra Idem, che lunedì ratificherà la convenzione di Istanbul contro la violenza alle donne, di «attivare sanzioni alle aziende che fanno spot sessisti», non significa elogio del Braghettone che mette le mutande alla Cappella Sistina. A ciò semmai pensano la Rai e le guardie svizzere.
Ma significa riduzione delle forme becere o subdole che possono stimolare la “cultura” del mobbing, dello stupro e forse del femminicidio. Il merito di Articolo 21, cui lei si riferisce, e del suo dinamicissimo direttore del sito, Stefano Corradino, che in pochi giorni raccoglie 130mila firme antirazzismo e le consegna a Schulz, sta nel coinvolgere decine di migliaia di persone in battaglie che la politica da sola non vincerebbe. Così si fece qualche settimana fa in difesa della superquerelata Milena Gabanelli, con 120mila firme consegnate alla presidente Boldrini, la quale ha idee molto precise sulle legislazioni estere a riguardo. (E pensare che i giornali di ieri parlavano di nuova offensiva della destra per conquistare altri spazi alla Rai e nei Tg, non bastandole la presidente, il direttore generale e i direttori di Tg che ha oggi).
Federico Orlando