Oggi verrà approvato dalla Camera dei deputati in seconda lettura, dopo la prima conclusasi a marzo al Senato, il testo del governo «Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale». Ma non è finita qui, perché vi sarà un terzo tempo, per modifiche (peggiorative) volute da Palazzo Chigi.
Si tratta di un articolato tanto modesto quanto insidioso, non a caso contrastato dalle diverse forze di opposizione.
La modestia sta nella miopia del testo, che non tratta se non di sfuggita i lati oscuri delle intelligenze artificiali (diverse, contraddittorie tra di loro come dimostra -ad esempio- qualche tentativo europeo: Magistral). Va usato il plurale, perché l’IA non è una categoria astratta o un media e, per citare il fondatore dell’azienda statunitense Nvidia Jen-Hsun Huang in prima fila nell’avventura tecnologica, si differenzierà in dieci anni centomila volte.
Un’ipotesi normativa va intesa, quindi, come un contenitore di principi e di confini etici invalicabili, piuttosto che una legislazione figlia di culture analogiche chiuse e incapaci di evolversi. In tal senso, sarebbe stato indispensabile immaginare un’Autorità indipendente dotata di consistenti facoltà regolamentari in grado di correre per lo meno nei pressi di un sistema dotato di velocità inedita. E, invece, ecco che l’esecutivo si comporta secondo una logica di piccoli poteri consolidati, attribuendo la funzione di Autorità alle già esistenti Agenzie per l’Italia digitale (AgID) e per la cybersicurezza (Acn), non uscendo così dalle precarie linee di difesa attuali.
Il limite risiede proprio nella visione provinciale che permea il dispositivo, segnato da un sovranismo minore. Ecco, minore perché l’insidia viene dal sottotesto evocatore di una vera e propria cessione della sovranità vera.
Per sovranità vera si intende la combinazione tra allocazione fisica e controllo dei dati (miliardi e miliardi di identità personali e di profilazioni). Qui sta l’indizio principale della realtà miserevole delle politiche della maggioranza, capaci persino di imporre una modifica del comma 2 dell’articolo 6, che nella stesura originaria prevedeva l’installazione dei server in Italia per garantire la sicurezza dei dati sensibili. Nel passaggio dal Senato alla Camera il comma è stato soppresso, pare per una telefonata che ha chiesto e ottenuto un mutamento che ha le sembianze di un diktat degli Stati uniti e della Nato.
La subalternità è talmente forte che neppure una simile figuraccia scompone la compagine presieduta da Giorgia Meloni, sovranista e italiota a giorni alterni.
Sappiamo che attorno a tali questioni si gioca una partita geopolitica strategica, vale a dire il grado di indipendenza della conclamata nazione. Del resto, la controprova si evince dalla ulteriore modifica inserita nelle disposizioni finali: la possibilità di partecipare a fondazioni o società con soggetti pubblici o privati di paesi dell’Alleanza atlantica o extraeuropei.
Dopo avere almeno in parte svenduto la disponibilità dello spazio nella recente legge, eccoci a vedere svanire la facoltà di avere il controllo sulla trama nervosa della società, che può certamente progredire attraverso un ricorso scientifico e regolato all’IA, ma senza scudi protettivi diviene un corpo disperato di sudditi proni a chi possiede il potere del calcolo. Diritti di lavoratrici e lavoratori, diritto d’autore vanno in soffitta. Prevale (anche contro i documenti della Chiesa) un mediocre determinismo tecnologico.
Lungi dalla proposta governativa ogni riferimento alla urgenza di predisporre modelli aperti e democratici di addestramento dell’IA e di negoziato vertenziale sui paradigmi algoritmici.
La versione italiana è più fragile del già fragile Regolamento europeo di un anno fa.
Le opposizioni (tutte e insieme) hanno presentato molti emendamenti, naturalmente bocciati, e hanno svolto un’opera puntuale, a partire dalla relatrice di minoranza Francesca Ghirra, del gruppo di Alleanza Verdi-Sinistra.
Adesso si prospetta la terza lettura e chissà che l’opposizione si estenda ai vasti mondi toccati e feriti.
(Da Il Manifesto)