La pace e le lacrime di Papa Francesco

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Improvvisamente, seguendo la preghiera di papa Francesco sotto la statua dell’Immacolata , mi sono ritrovato con la mente ed il cuore al 13 maggio 1978, quando Paolo VI celebrò i funerali di Aldo Moro nella basilica di San Giovanni in Laterano, a quel famoso “tu non hai esaudito la nostra supplica” che rivolse a Dio. Quel momento drammatico l’ho rivisto, in tutta la sua diversità anche espressiva, quando il pianto ha sopraffatto Francesco che diceva a Maria: “avrei voluto portarti…” la pace che tanto abbiamo implorato per la martoriata Ucraina. Non è un paragone tra drammi storici così diversi e lontani nel tempo, figli di diverse follie. Non è un paragone tra parole, diverse nel tono, ma forse non nella profondità del dolore. Il rapporto che legava Paolo VI e Aldo Moro è ben noto, ancora oggi è certamente presente a tutti gli italiani, non solo a noi. Anche l’incessante predicazione di Francesco per il popolo ucraino è nota, e certamente entrambi sono stati feriti dalle vicende storiche.
Quando Francesco si è fermato, sopraffatto dal pianto, ha faticato a riprendere, e mi sono ricordato che quell’accorata omelia di Paolo VI si aprì dicendo che le labbra si aprivano in tutta la loro pesantezza, come quella della grande pietra posta davanti all’ingresso del Sepolcro di Gesù. C’è in questi due momenti l’evidenza di un rapporto spirituale con Dio, con il loro Dio, che non può che riguardare tutti. E se il trauma che significava per l’Italia la morte di Moro è stato studiato e trattato da molti, cosa significhi il dramma del popolo ucraino, a cosa ci porti o riporti soprattutto con questa ultima terrificante campagna area contro le infrastrutture per impedire nel rigore invernale a un popolo intero di avere la luce, il riscaldamento, l’acqua, non sono state capite dalla coscienza individuale e collettiva.
Questa spietata deriva che mette a rischio tutto per tutti, vecchi, malati, bambini, mamme, partorienti, ha indotto Francesco mercoledì scorso a dirci che la storia si ripete, quando ha ricordato che due giorni fa il Centro per le Relazioni Cattolico-Ebraiche dell’Università Cattolica di Lublino ha commemorato l’anniversario dell’ “Operazione Reinhardt”, decisa dal regime nazista tedesco, che, durante la Seconda Guerra Mondiale, tra luglio e ottobre del 1942 “ha provocato lo sterminio di quasi due milioni di vittime, soprattutto di origine ebraica. Il ricordo di questo orribile evento susciti in tutti noi propositi e azioni di pace. E la storia si ripete. Vediamo quello che succede oggi in Ucraina. Preghiamo per la pace”.
Francesco è l’unico leader mondiale che ha cercato di risvegliare le nostre coscienze davanti a questa virata di un conflitto divenuto “totale”, con la profondità, non solo spirituale, con cui Paolo VI seppe scrivere la famosa “lettera agli uomini delle Brigate Rosse”. Forse il pianto odierno ha mostrato a tutti che al di là della commozione Francesco ha colto tutto il senso di un conflitto che può riportare, o sta riportando, nel nostro continente opzioni che abbiamo ritenuto archiviate dal secolo scorso.


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