Per i diritti umani: sempre, comunque, dovunque

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Dieci dicembre: Giornata mondiale per i diritti umani, in occasione del settantaquattresimo anniversario della Dichiarazione universale voluta fortemente da Eleanor Roosevelt, vedova di Franklin, affinché il “mai più” che almeno l’Occidente si era giurato nell’immediato dopoguerra fosse effettivo. Purtroppo non è andata così, anche perché l’eredità di Roosevelt, come ha spiegato bene Michael Moore nel documentario “Capitalism: a love story”, è stata tradita innanzitutto in America. Un film straziante, dunque, un affresco su come siamo diventati, un atto d’accusa all’Occidente e una durissima analisi sulle distorsioni di un modello sociale, economico e di sviluppo che non funziona più, forse non ha mai funzionato e, di sicuro, ha prodotto una quantità di danni che è praticamente impossibile quantificare. Saremo, pertanto, al fianco dei Radicali, in piazza della Repubblica, ore 10, per esprimere solidarietà e vicinanza al popolo iraniano, in lotta contro un regime oppressivo, oscurantista e nemico di qualsivoglia forma di diritto. Saremo in piazza in ricordo della giovane Mahsa Amini, la scintilla che ha dato inizio alla rivolta, assassinata dalla “Polizia morale” (nulla è più abominevole dell’esistenza di una simile istituzione) perché, a loro dire, indossava male il velo. Scenderemo in piazza in ricordo di Mohsen Shekari, impiccato a ventitré anni per aver avuto il coraggio di manifestare, battersi e dire la propria, al netto della risibile accusa di “moharebeh”, inimicizia contro Dio, per cui è stato condannato. E sosterremo attivamente la meritoria campagna della Stampa in favore di Fahimeh Karimi, madre e allenatrice di pallavolo, arrestata per aver preso a calci un paramilitare in una delle manifestazioni e adesso condannata a morte per aver partecipato in prima fila alle proteste contro la tirannia.

È una dittatura che odia le donne, quella di Teheran, in cui le nostre compagne vengono costantemente uccise o ferite al volto, al seno e ai genitali, in una riedizione del capolavoro di Pasolini, quelle 120 giornate di Sodoma di De Sade ambientate nell’inferno di Salò, al crepuscolo del fascismo: un film premonitore in cui la bellezza femminile veniva costantemente sfregiata e aggredita, come simbolo di purezza da estirpare e distruggere. Me lo ha spiegato bene l’attrice Jennifer Ulrich, Alma Koch in “Diaz” e oggi sostenitrice della battaglia dei giovani iraniani, cosa significhi attaccare le donne non solo per le loro idee ma per ciò che esse rappresentano, fino a demolire la loro essenza, la loro gentilezza e il loro amore per la vita. “Zan, zendegi, azadi”: donna, vita, libertà. Ogni epoca ha avuto il suo motto rivoluzionario, e questo dev’essere considerato alla stregua di “liberté, égalité, fraternité”, i tre pilastri su cui dovrebbe fondarsi l’Occidente. Perche non c’è uguaglianza senza libertà e la fratellanza è un bene primario, un valore assoluto, il senso stesso del nostro stare insieme. Non può esistere umanità se non si riparte da qui: dalla vita e dalla sua grandezza, dalla sua unicità e dal suo essere un bene inalienabile.

Per questo, domani pomeriggio, saremo invece a Porta Pia per Julian Assange, il coraggioso giornalista australiano che, attraverso i cablo di WikiLeaks, ha svelato le nostre malefatte nei teatri di guerra in cui l’Occidente ha smarrito se stesso e la propria identità. Le due manifestazioni, entrambi essenziali, si prendono idealmente per mano. Non possiamo, infatti, batterci al fianco di Fahimeh e di tutte le donne iraniane se non riconosciamo, innanzitutto, le nostre colpe. Non coglieremmo l’essenza di una rivoluzione straordinaria se non fossimo capaci della necessaria autocritica. Non saremmo veramente liberi se non chiedessimo a gran voce che la libertà, bene inestimabile, sia da noi assoluta e imprescindibile per chiunque. Se vogliamo essere un esempio, come ci ha insegnato Michael Moore, dobbiamo partire dalle nostre società, squassate dalle ingiustizie e dalle disuguaglianze.

In nome dell’articolo 21 della Costituzione, dei nostri principî e dei trenta articoli della Dichiarazione del ’48; per dire a ragazze e ragazzi iraniani che non sono soli; per sostenere la dignità e i diritti di ciascun cronista, da Assange all’ultimo degli ultimi; contro ogni barbarie e tirannia, che sia esplicita o abilmente camuffata da democrazia, faremo la nostra parte.


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