L’Ucraina e la lezione di Paolo Dall’Oglio

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Sono amico da molti anni di Beppe Giulietti, ma quando mi ha chiesto di scrivere sulla lezione rimossa di Paolo Dall’Oglio ho deciso istintivamente di rispondere “no”. Ma altrettanto istintivamente gli ho scritto l’esatto contrario, e ho risposto “certamente”. Perché? Forse perché anche se non attribuisco alcun valore a queste considerazioni avverto il bisogno di farle.
La prima cosa che devo dire è che non ho titolo per scrivere oggi, a tragedia Ucraina in corso, di lezioni di Paolo. Sono nove anni che tace e io non sono depositario della sua verità, della sua storia, del suo pensiero, del suo valore. Posso solo dire che lui “mi è entrato nel cuore”. Sono le parole del jihadista dal quale si recò sotto le bombe per chiedere, e ottenere, la liberazione di alcuni ostaggi cristiani. Quante linee del fronte, quante fosse comuni attraversò per raggiungerlo… Lui allora seppe passare da Kiev nel Donbass, questo è l’equivalente odierno di quello che fece.
Dunque io non posso dire cosa non abbiamo capito di Paolo, né posso dare “l’interpretazione autentica” della sua lezione, posso dire che lui mi indica quel che penso davanti alla tragedia dell’Ucraina.
Paolo è stato, per me è, un convinto militante della non-violenza. E infatti quando la protesta di piazza in Siria si capì che stava per essere travolta nel sangue della repressione lui chiese al mondo della pace di impegnarsi, di mobilitarsi con corpi di caschi bianchi, disarmati, da frapporre tra comunità in rivolta, milizie e soldati. Anche per impedire rappresaglie e provocazioni lungo le linee che dividono le comunità e che sapeva sarebbero state usate per dividerle.
Ma le cose sono andate diversamente, gran parte del mondo pacifista ha chiuso gli occhi davanti alla Siria, o ha scelto di “capire Assad”. Ne soffrì? Sì, ne soffrì. Ne ho parlato a lungo con lui, so quel che dico. Paolo Dall’Oglio di quell’incomprensione ne soffrì. Ma lui non era ideologico. E capì la necessità di armare l’Esercito Libero Siriano. Era l’unico modo per evitare che il nichilismo si impossessasse di un mondo che si sentiva tradito, abbandonato, lasciato con assoluta cecità alle sevizie di un regime criminale pronto a usare il fantasma di un male maggiore per giustificarsi. Quel fantasma divenne realtà, con il contributo decisivo del regime stesso e di molti altri. Io mi sento di dire che lui aveva capito che il nichilismo che sarebbe emerso da quell’abbandono lui lo aveva capito prima di tutti, e forse parlando con lui io non capii che era arrivato sin qui. Ma siccome lui operava  davvero nel nome della non violenza, da uomo di pace, i modi provocatori che usava con noi per svegliarci dal nostro torpore li usava anche con loro, per trattenerli dal rischio tremendo del nichilismo violento. Per questo propose una Siria federale. Sapeva che era l’unica via per salvare la Siria, e la pace nel mondo. Per ogni siriano la Siria è una, “una, una, una”, dicono sempre così. Ma lui sapeva che ogni forza del male avrebbe usato i provocatori, i sicari, per lanciare provocazioni da un territorio all’altro, per creare lo scontro tra comunità. Il federalismo avrebbe salvato l’unità. Non è quello di cui ci si sarebbe dovuti rendere conto in Ucraina?
Sono tante le lezioni di Paolo che non si sono volute ascoltare. Voglio dirne una, ma a parole mie. Partendo di qui: l’empatia! L’empatia è decisiva per chi è nella prova, ma oggi questa empatia con gli ucraini non c’è, come ali tempo non c’è stata con i siriani. Di questo soffrì, molto. E allora io oggi chiedo ai tanti che vedono la soluzione nella resa degli ucraini, o nella loro rinuncia a combattere: lo avete mai detto ai curdi? Avete mai detto ai curdi di arrendersi ai turchi? Avete mai detto agli afghani di arrendersi ai talebani? Anche lì c’è una sproporzione di forze, tanto che i curdi turchi per lottare contro Ankara usarono basi all’estero. Gli avete di no? E ad altri popoli? Certo, nessuno lotta perché noi lo diciamo da dietro i nostri striscioni, ma come mai oggi viene meno questa empatia? Per lo slogan di denazificare l’Ucraina? O per il bisogno di urlare “no alla Nato”? E’ in gioco il nostro orizzonte Novecentesco, ideologico, o il loro domani, la loro identità? Dunque gli ucraini sono tutti nazisti, come i siriani erano tutti terroristi? Ci sarebbe molto altro da dire, anche di altri usi distorti di queste resistenza, ma voglio stare a Paolo, non a me.
La guerra al terrorismo è una creazione neo-con che ha avvelenato i pozzi mediorientali, poi è stata assunta da Putin con la guerra al terrorismo in Siria. Ora la guerra al terrorismo diviene guerra per denazificare l’Ucraina. Ovviamente contestando la guerra al terrorismo non ho appreso da Paolo a pensare che il terrorismo non esista. Ma che non va aiutato. La lezione che non abbiamo voluto né sentire né capire però sta in un proverbio arabo che mi disse una volta: “una mano da sola non applaude”. Insegnandomi ad applicarla ai conflitti mi ha spinto a pensare che le mani degli opposti estremismi applaudono sempre.
Per questo io oggi trovo la sua lezione che spero proprio venga capita nell’appello di Civiltà Cattolica: “fermatevi”. Sì, bisogna chiamare l’aggressore con il suo nome e interloquire con lui, dargli fiducia. Ho fiducia nel popolo russo. Devo dire a loro “fermatevi”, sicuro che se riuscissi a farmi sentire si stabilirà un rapporto tra noi. Tutto sommato la fiducia di Paolo era nel popolo siriano, non nel  regime, quello del quale purtroppo si sono fidati molti altri.

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