Raffaele Cutolo e la narrazione sfalsata che ha lasciato indietro le vittime, come Mimmo Beneventano

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Cosa resta dell’impronta cutoliana nella “sua città”? E come fu vissuta l’epopea criminale di un boss tra i più sanguinari? Lo spiega magistralmente un saggio pubblicato giusto un anno prima della morte di Raffaele Cutolo, “Politiche integrate di sicurezza” a cura di Vittorio Martone, nel capitolo scritto da Carolina Castellano e Anna Maria Zaccaria. Viene descritta la città di Ottaviano, la sua storia di luogo di commercio e tradizione culturale, c’era il liceo classico, lì e non altrove nel comprensorio. Scrivono le autrici: “Nel Novecento si configurano le fratture più significative nella vita della comunità. Dal 1943 il contrabbando di carni e alcol diventa una rigogliosa attività, gestita da alcune famiglie in quotidiano contatto con gli alleati angloamericani di stanza in un campo di aviazione allestito in una contrada di Ottaviano…”. In quel momento comanda la banda di Giuseppe La Marca che in seguito verrà arrestato. E morirà in carcere nel 1956. I funerali si svolsero in pompa magna poiché La Marca era visto come una sorta di Robin Hood. Dal punto di vista politico la città ha avuto una forte impronta democristiana , con consensi quasi bulgari, oltre il 65% ma a metà degli anni 70 con la elezione a sindaco di Salvatore La Marca (1975) si concretizza il pericoloso “avvicinamento” del potere politico a quello criminale. Sono gli anni della cementificazione.
“Il 13 settembre 1978 viene ammazzato Pasquale Cappuccio, avvocato e consigliere comunale socialista – si legge nel saggio – che avversava La Marca su questioni di appalti pubblici. Assolto con formula dubitativa in primo grado come uno dei mandanti dell’omicidio, La Marca verrà assolto in Appello con formula piena, mentre il fratello Luigi e Pasquale Cutolo, fratello di Raffaele, che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo come mandanti dell’omicidio, vengono assolti in Appello per mancanza di prove”. Questo omicidio di un avversario politico che poteva ostacolare gli affari, nonché il rapporto perverso tra pubblica amministrazione e camorra non resterà isolato. E purtroppo si ripeterà dopo poco  in danno di una delle figure politiche e intellettuali destinate a rimanere per sempre nella storia sociale dell’hinterland, il delitto di Domenico Beneventano che il saggio curato da Martone restituisce dentro un quadro vivido e drammaticamente attuale.
“Il 7 novembre 1980 viene ucciso Domenico Beneventano, medico e consigliere comunale eletto nelle liste del Pci nel 1975 e nel 1980, che contrastava la cementificazione del territorio. Anche questo delitto resterà impunito, perché le sette condanne pronunciate in primo grado (Raffaele Cutolo viene condannato all’ergastolo come mandante) vengono cancellate in secondo grado per mancanza di prove… nel giugno del 1980 La Marca aveva lasciato la poltrona di sindaco per quella di consigliere provinciale, in una giunta di centrosinistra… Colpito da ordine di cattura nell’ambito del maxi blitz anticamorra dell’83, fugge in Germania. Prosciolto per insufficienza di prove, rientra a Ottaviano e investe in rifiuti, attraverso la proprietà di alcune discariche in Campania. Muore nel 1992”. Attorno alle morti di mafia aleggia sempre un venticello di calunnia che riconduce il tutto a una “punizione” per motivi privati. Fu così anche per Mimmo Beneventano. “Mio fratello è stato ucciso – ha dichiarato la sorella – ma è stato ucciso anche in seguito perché… sembrerà cinico quello che dico… fosse stato ucciso dagli anni Novanta in poi … sarebbe stato ricordato di più…” In effetti alcune cronache di allora parlarono di delitto passionale perché Beneventano era un giovane medico, scapolo con tante relazioni umane. Bastò questo, unito peraltro all’andamento altalenante dei processi, a macchiarne anche la memoria. La matrice mafiosa di quell’omicidio venne riconosciuta soltanto nel 2012, con un decreto ministeriale che consentì di qualificare quel terribile delitto per ciò che era sempre stato  e di farlo all’interno di un quadro di assalto alle istituzioni democratiche e della libertà di espressione e politica da parte della camorra cutoliana. Il 2012 segna dunque un riscatto per la vittima per la sua famiglia, per la memoria storica e civile di Ottaviano: nasce la fondazione dedicata al consigliere ucciso che si dedica alla promozione del giornalismo d’inchiesta e dei temi ambientali.
Questa storia, raccontata insieme a molte altre nel saggio edito da Carocci, spiega cosa è accaduto in Campania dal dopoguerra ad oggi, il ruolo e il peso avuto dalla criminalità organizzata e il vuoto, accompagnato dalle calunnie, che talvolta si è visto attorno alle vittime. Anche con la morte di Raffaele Cutolo c’è stato più spazio per la biografia del boss che non per coloro che ha ammazzato, è quasi prevalsa l’epopea del Cutolo pazzo, rispettato, invasato rispetto al sacrificio degli oppositori del sistema Cutolo.

(Nella dell’archivio della Fondazione, Domenico Beneventano)


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