Il Coronavirus non chiude la Rotta balcanica

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Sono 42 le persone migranti arrivate ieri a Trieste, 5 delle quali minorenni.

Provengono dal Medio Oriente e sono giunte in Italia dopo aver attraversato la così detta Rotta balcanica. Che non è chiusa per emergenza Covid19, come qualcuno potrebbe pensare: da Paesi martoriati dalla guerra e dalla miseria si continua a scappare. Perché la prospettiva di contrarre il virus non è più grave della possibilità di saltare su una bomba o di morire di fame.

Come spiega “Rotta Balcanica. Ultima fermata” (https://vimeo.com/393507989), un documentario di Davide Ludovisi assolutamente da vedere, nei Paesi dell’Unione Europea nel 2019 si registrano 166.400 richiedenti asilo, 8320 in Italia: arrivano via terra, a volte dopo anni di cammino, dopo aver percorso migliaia di chilometri nella speranza di un futuro in Europa, di un futuro prima di tutto.

Afghanistan, Pakistan, Iraq, Kosovo sono i principali Paesi di provenienza; Trieste negli anni è diventata una delle principali porte d’accesso europee: nel 2019 sono stati 2984 i nuovi accolti nel sistema triestino, un sistema — come spiega la prof. Roberta Altin dell’Università degli Studi di Trieste intervistata nel documentario — che ricorda il modello basagliano e punta a rompere il paradigna assistenzialistico, che vittimizza e rende passivi, e a de-istituzionalizzare l’accoglienza. Ma il nostro Paese purtroppo non guarda alla migrazione come a una risorsa, ma come a un onere, nonostante gli italiani che escono e gli stranieri che entrano siano sostanzialmente in pareggio. E non è pertanto un caso che la maggior parte delle persone che arrivano in Friuli Venezia Giulia non abbiano alcuna intenzione di fermarsi, ma puntino ad andare in Nord Europa. L’Italia ormai è diventata un Paese di seconda o addirittura terza scelta, nonostante chi mette piede sul nostro territorio abbia già passato di tutto e spesso subito violenze inenarrabili (ma che non narriamo abbastanza!) anche in Paesi sulla carta europei, che tuttavia anziché sviluppare sistemi di accoglienza — spiega Gianfranco Schiavone, presidente dell’ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) — hanno sviluppato sistemi di espulsione e sono a ragione considerati ostili come la Croazia e in misura minore la Slovenia. E ostile suona quasi come un eufemismo, se si pensa che negli ultimi 300 km di questo viaggio infinito che può durare anche 10 mila km può capitargli che li picchino selvaggiamente, che li torturino, che gli rubino tutto, che gli distruggano il cellulare, che li denudino privandoli delle scarpe, che li respingano più e più volte quando tentano il così detto “Game”, ovvero quando provano a superare il confine.

Dov’è l’Europa, culla del diritto che considera assolutamente illegali i respingimenti e la tortura?

È di certo una domanda legittima.

Ma ancor più legittimo è chiedersi: dov’è l’umanità? A questa possiamo rispondere solo noi stessi nell’intimo della nostra coscienza.

 


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