Il più bel presepe è la croce con il salvagente di un migrante affogato

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L’ha voluta papa Francesco, per richiamare l’attenzione all’unico sentimento che religiosi e atei riconoscono come sacro: l’umanità. Cioè la rottura dell’indifferenza che la sofferenza di un simile provoca in chi gli sta vicino e lo spinge all’intervento. Quella croce vestita da un giubetto arancione ci dice che ognuno può essere il salvagente di un altro. Di chi affoga nella solitudine, nel pregiudizio, nell’ingiustizia. La vera bestemmia è farsi i fatti propri.

Comprendo chi non crede in dio, non chi nega la fratellanza. Forse è per questo che – da credente – ho più amici atei, che religiosi. Papa Francesco ci ha ancora spiazzato con l’invito a delimitare l’attenzione verso l’essenziale, a contemplare un dio affogato con gli ultimi. Un messaggio stridente in questi giorni in cui un politico pretende il diritto di poter sequestrare in una nave per giorni, a suo piacimento, persone stremate da torture e rischio di annegamento.

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