Tutti gli errori di Evo secondo la storica Lupe Cajias

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Intervista a Lupe Cajías de la Vega, storica, giornalista e scrittrice di La Paz, Bolivia. Vincitrice lo scorso anno del Premio Nacional de Periodismo 2018

– In un suo articolo pubblicato lo scorso 9 Novembre su La Prensa argentina, intitolato “La lettera che scuote Evo Morales”[1], sostiene che la caduta di Morales sia stata determinata da una protesta popolare che ha attraversato il paese creando alleanze inedite e che ha radici profonde. A cosa si riferisce?

Nella difficile costruzione della democrazia boliviana, dal 1982 ad oggi tre presidenti eletti costituzionalmente hanno rinunciato per facilitare il passaggio a una nuova fase e per contribuire alla pacificazione nazionale. Nel 2016 Morales ha perso il referendum da lui stesso convocato con l’intenzione di modificare la Costituzione, che non permette la rielezione indefinita. Da quel momento, la classe media e molti intellettuali del paese che lo avevano sostenuto hanno preso le distanze.

L’incendio dei boschi in Chiquitanía è stato il preambolo simbolico e reale di quanto la cittadinanza fosse stanca di tante politiche scorrette. Morales si era rifiutato di dichiarare lo stato di “calamità nazionale”, nonostante fossero andati in fumo 10 milioni di ettari. L’incendio fu provocato per ampliare la produzione agricola, seminare più soia e allevare bestiame: milioni di tonnellate di carne da poter consegnare al mercato cinese. Ciò ha creato scompiglio durante la campagna elettorale, perché la popolazione ha visto nel governo, e nello specifico in Evo Morales, un nemico della foresta. Sono esplose delle proteste che si sono unite allo sciopero del settore sanitario, che, in tredici anni di boom economico non ha mai ricevuto finanziamenti adeguati.

I cittadini sono andati a votare pacificamente il 20 di ottobre 2019. Nelle maggiori città, a sorpresa, l’opposizione (Carlos Mesa, Comunidad Ciudadana) ha ottenuto un ampio consenso. Il MAS ha vinto con ampio margine nelle zone rurali, ma le percentuali non erano sufficienti per raggiungere la vittoria al primo turno. TApparentemente per ordine dello stesso Palacio de Gobierno, il conteggio delle schede è stato però interrotto e Morales ha dichiarato la sua vittoria al primo turno, cosa che ha provocato reazioni in strada già la notte stessa. Dopo che lunedì 21, il Tribunal Electoral ha ratificato quanto annunciato da Morales, militanti di partiti politici, organizzazioni civiche e, soprattutto, giovani che votavano per la prima volta, sono scesi in massa a protestare ed è stato dichiarato uno sciopero indefinito che si è protratto per 21 giorni. Quello stesso giorno, infatti, il rapporto dell’Organización de Estados Americanos aveva confermato una serie di irregolarità, prima, durante e dopo le elezioni.

– Quindi, a suo avviso, non si può parlare di Colpo di Stato…

Di fronte alle proteste che in quel momento chiedevano solo il secondo turno, come prescritto dalla normativa, fu lo stesso governo a richiedere un controllo elettorale alla OEA. Il rapporto tecnico ha dimostrato brogli elettorali sui quali ora la Procura sta indagando. È molto probabile che tali brogli interessino lo stesso Morales e i suoi collaboratori politici, ed è questo il tema principale. Evo Morales è scappato per diventare il leader di una grave frode elettorale. Sarebbe stato sufficiente accettare il secondo turno in quei giorni, ma il ritrovamento di numerose schede timbrate, urne nascoste e hardware aveva comunque dimostrato che tutto il sistema elettorale era compromesso.

Il nuovo slogan della piazza divenne “nuove elezioni”, ed era espresso in modo radicale dal movimento civico di Santa Cruz e di Potosí. Ma neanche questo fu accettato per tempo dal governo, così da “nuove elezioni” si è passato alla richiesta delle dimissioni di Morales espressa da una vera e propria resistenza civile. Sono stati fatti blocchi simbolici nelle città con le “pitita” (piccola corda che legata ad altre unisce simbolicamente il paese n.d.t.) che è diventata il simbolo della lotta contro i gruppi di scontro del MAS. I movimenti cittadini sono stati pacifici, con canti, ironia, colore e a volto scoperto. Per la prima volta nella storia boliviana le proteste avevano raggiunto i confini, le province e i boliviani residenti all’estero. Le uniche morti di quei giorni sono riconducibili alle armi che franco tiratori legati al MAS hanno usato contro cittadini che protestavano. Gli stessi, addirittura incappucciati, hanno attaccato un corteo di minatori che voleva raggiungere la sede del governo per appoggiare i blocchi.

Quando il 10 novembre sono stati confermati ufficialmente i brogli elettorali, la gente è scesa in strada in tutto il paese, a ciò si è affiancato l’ammutinamento della Polizia contro i propri superiori, vicini al MAS. Solo allora Morales ha deciso di convocare nuove elezioni, ma era tardi. A quel punto le richieste di dimissioni hanno cominciato ad arrivare da parte di vari settori e sindacati, inclusa la Central Obrera Boliviana, una realtà molto forte identificata da sempre con il MAS. Di fronte alle ondate di protesta, sono state proprio le Forze Armate a chiedere al presidente un passo indietro come unica possibilità di pacificazione per il paese. A quel punto Evo Morales ha rinunciato senza riconoscere il rapporto della OEA e si è rifugiato a Chimoré, l’area rossa del narcotraffico nel centro della Bolivia.

 

– Veniamo al Governo ad interim, come si spiega l’assunzione della carica da parte di Jeanine Añez e perché tale carica non è andata ad Adriana Salvatierra, allora presidente del senato per il MAS?

Salvatierra ha dato pubbliche dimissioni e ha chiesto asilo all’Ambasciata del Messico. Per ragioni interne, i parlamentari del MAS non hanno presenziato la convocazione al congresso, nonostante le Forze Aeree si fossero messe a disposizione per farli arrivare.

Per 48 ore si è creato un pericoloso vuoto di potere colmato, come stabilisce la Costituzione, dall’assunzione della carica da parte della vicepresidente del Senato, Jeanine Añez.

 

– In molti sostengono che la destra estrema abbia cavalcato l’onda di protesta popolare per arrivare al Palacio Quemado e prendere il potere. C’è davvero il rischio di una politica estremista, oligarchica di destra e cattolica?

Il governo insediatosi dopo la fuga di Morales deve solo pacificare il paese, nominare un nuovo Tribunale Elettorale e indire le elezioni. Fin da subito ha dichiarato che non avrebbe cambiato le politiche economiche, che consegnerà i bonus sociali e che confermerà le autorità dell’area economica. Questo governo raggruppa un ampio spettro di simpatie ideologiche provenienti da tutto il paese, e riflette in sé la protesta nazionale. È difficile capire da fuori, ma molti dati dimostrano che il governo del MAS si era alleato con le maggiori organizzazioni oligarchiche di affaristi.

La questione religiosa è più complessa. Nel 2006, quando entrò a palazzo, Morales eliminò la Bibbia e optò per i rituali andini che contemplano anche la morte di animali. La Bolivia è un paese laico ma in maggioranza credente. Le credenze precolombiane e cristiane hanno convissuto per secoli, eliminare la Bibbia è stato da ottusi, e l’uso che se ne sta facendo adesso è estremo proprio come lo era stato il suo.

A fine ottobre, nel bel mezzo della protesta Evo Morales aveva chiesto ai suoi sostenitori di assediare le città. “Vi insegno come fare i blocchi” ha detto, con allusione alla sua esperienza sindacale. Lui non ha mai rinunciato ad essere il massimo dirigente dei cocaleros del Chapare, nonostante le Nazioni Unite abbiano denunciato che il 90% della coca prodotta in questa zona è destinata alla produzione di cocaina. I cocaleros sono scesi in difesa di Morales con armi sofisticate e guerriglieri provenienti da Colombia e Venezuela sono stati arrestati. Sono loro attualmente ad alimentare il caos a Cochabamba e nell’est di Santa Cruz. Si fanno scudo con la protesta dei produttori di coca, molti dei quali sono innocenti campesinos che si identificano con il presidente. Da quando Morales se ne è andato, gruppi mascherati con bombe e spranghe terrorizzano di notte i quartieri popolari e residenziali di La Paz.

Abitanti delle periferie urbane e contadini hanno denunciato che sono stati obbligati a sfilare nei cortei, loro sono i più colpiti dalla mancanza di cibo e il 70% non accede neanche al sussidio giornaliero. Terroristi anonimi hanno incendiato le stazioni di polizia per rubare uniformi e armi, al grido “guerra civile”.

– Come spiegherebbe le decisioni prese sin dai primi giorni dal Governo ad interim (riconoscere Guaido, la rottura diplomatica con il Venezuela). Che peso ha questo sugli equilibri interni del paese e quanto può pacificare un decreto che permette alle Forze Armate di agire impunemente, senza responsabilità penale per gli omicidi commessi e contro ogni diritto umano?

Il nuovo governo ha dichiarato che volreva avere buone relazioni internazionali. Ha permesso che oltre 750 cubani che stavano in Bolivia come medici o nell’amministrazione pubblica lasciassero il paese, perché accusati di ingerenza nella politica boliviana e si è unito al Grupo de Lima nel sostenere il governo di Juan Guaidó, riconosciuto anche dall’OEA.

Ma la cosa più difficile da comprendere è che quanto accade in Bolivia non riguarda solo questo paese, ma rientra in un quadro di tensioni geopolitiche mondiali e vede la  partecipazione di potenze e di paesi emergenti come la Cina e l’Iran.

Il decreto invece è un’arma a doppio taglio. Da una parte permette ai militari di agire per evitare situazioni di rischio civile, come il tentativo di far esplodere una centrale di gas naturale a Senkata, o gli attentati dinamitardi a danno di gasdotti, ponti e cortei. Dall’altra comporta un rischio effettivo che si arrivi all’eccesso e alla repressione.

 

– Molti media occidentali hanno focalizzato la loro attenzione sulla questione del litio e del suo sfruttamento. Secondo lei esiste un nesso tra la crisi appena esplosa e lo sfruttamento di questo minerale?

Il litio e le risorse naturali della Bolivia sono parte del problema. Il MAS aveva consegnato a imprese cinesi, ora denunciate per abusi contro i minatori boliviani, diverse miniere a scapito di gravi danni ecologici. I minatori di Potosí hanno portato avanti una protesta un mese intero, perché il contratto di estrazione del litio era stato firmato senza consultare la popolazione. Nel bel mezzo delle proteste, Morales ha provato a calmare gli animi dei minatori di Potosí e del Salar de Uyuni, le zone dei maggiori giacimenti, rescindendo il contratto, ma aveva ormai perso consenis in quell’area del Paese. Il petrolio continua ad essere estratto in maggioranza da multinazionali come la Repsol o da imprese venezuelane e brasiliane. Altra risorsa di interesse mondiale è l’uranio nel sud est del paese, su cui gravano gli interessi russi. E poi c’è il ferro al confine con il Brasile. Ricordiamo che la Bolivia ha perso tre guerre contro gli stati confinanti proprio a causa delle sue ricchezze: il salnitro contro il Cile, la gomma contro il Brasile e il petrolio contro il Paraguay.

 

– Come giornalista, se dovesse fare un bilancio di questi tredici anni di Governo Morales…

Morales avrebbe potuto essere il presidente dei poveri e, anche se non parla nessuna lingua originaria ed è meticcio, ha dato visibilità agli indigeni originari boliviani e alle etnie di tutto il continente. Tuttavia, la repressione attuata nel 2011 contro gli indigeni poveri delle pianure che si opponevano alla costruzione di una strada che divideva il loro territorio e le politiche sulla gestione del parco nazionale TIPNIS diedero inizio alla rottura. Morales ha scelto un governo di stabilità macro economica e investimenti stranieri e privati a scapito dell’ambiente e contro le etnie che vivono nella selva e nelle zone pianeggianti, compresa la costruzione di dighe nei fiumi dell’Amazzonia.

 

Veniamo ad oggi. Si contano già molte vittime in seguito a proteste e scontri in strada. Siamo alla guerra civile? Che tipo di scenario prevede per i prossimi mesi?

C’è odio, fomentato con forza da Álvaro García Linera e suo fratello Raúl, un odio che si è ripetuto con insistenza in questi tredici anni. Chissà se il ruolo di entrambi non sia stato tra i più dannosi per Morales, che aveva una propria leadership. Le proteste attuali sono violente ma isolate, concentrate a La Paz e a Cochabamba. È questo il momento in cui il MAS deve tentare di salvare ciò che resta della legalità e partecipare alle prossime elezioni, tenendo in considerazione che ilsostegno reale e consolidato di questo partito è di almeno un terzo della popolazione, in maggioranza rurale. Se sceglierà la via illegale e violenta, il risultato sarà catastrofico. È importante avere una tabella di marcia per le elezioni e considerare la partecipazione di tutti i partiti e tutte le espressioni politiche.

[1] http://www.laprensa.com.ar/482801-La-carta-que-estremece-a-Evo-Morales-.note.aspx

 


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