Un fiorire di muri all’orizzonte

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Quello di Tijuana – tra Messico e Stati Uniti – è il più controverso e chiacchierato, ma tanti sono i muri di frontiera che demarcano i confini statali. Almeno una settantina. Il più longevo – quello tra le due Coree, datato 1953 – è ancora il confine più militarizzato al mondo: una barriera altamente tecnologica ha sostituito i 4 km di canne di bambù. C’è poi quello che circonda la base americana di Guantánamo a Cuba, costruito per evidenti ragioni di sicurezza. E quello cipriota, costruito per far rispettare il cessate il fuoco a seguito della guerra turco-greca, doveva essere abbattuto e invece la linea verde è sempre là. Idem per l’Irlanda del Nord: 99 muri, 48 chilometri di estensione, separano cattolici e protestanti. La peace lines/linea della pace irlandese è del ’69, due anni prima veniva eretta una barriera sulle alture del Golan, post Guerra dei sei giorni. E questi sono solo i più vetusti.  

Tra l’82 e l’87 è stato costruito il Berm, ad opera del Marocco man mano che penetrava nel territorio del Sahara occidentale; nell’89 quello tra India e Bangladesh; nel 1991 quello tra Iraq e Kuwait, per arginare un’eventuale nuova invasione dopo la guerra del golfo; e nel ’90 le Barriere di separazione di Ceuta e Melilla con il Marocco: 8,2 e 12 km separano l’enclaves europee dal resto dell’africa. Poi dal 2000 in poi c’è stato un fiorire di muri: e quasi tutti con un’unica motivazione, contenere le migrazioni. La primavera araba e la guerra in Siria ha aggravato la situazione. Barriere cementificate, steccati, filo spinato, pannelli, divisioni elettrificate, catene e palizzate: un business da 19 miliardi di dollari e destinato a crescere. L’ultima proposta innovativa arriva da Trump, pannelli solari per autofinanziare la pachidermica impresa contenitiva tra Usa e Messico: una svolta green per un presidente poco amico dell’ambiente. Il muro Messico/USA è costato fra 1 e 4,5 milioni di dollari al chilometro – per espropriazioni, manodopera, tecnologia e sorveglianza – quello agognato da Trump 15 miliardi, ma la versione green è di certo più costosa. Di sicuro per ora un record il muro di Tijuana o del mignolo (rinominato così per l’unico contatto fisicamente consentito ai transfrontalieri) sta per conquistarlo: dall’inizio dell’anno l’artista Enrique Chiu, insieme ad alcuni volontari, sta realizzando Mural de la Hermandad, una creazione collettiva di murales che raccontano le storie di un’umanità divisa tra Tijuana e San Diego.  

Intanto a giugno sono iniziati i lavori di un nuovo muro: nel Canal de Zarumilla, tra Ecuador e Perù. Il governo ecuadoregno ha avviato la costruzione di un Parco Lineare che dovrebbe regolamentare il commercio tra i due paese, panacea del contrabbando secondo le autorità. 25.000 metri quadrati, con aree commerciali e ricreative per ricollocare gli esercenti frontalieri e proteggere la città di Huaquillas dalle possibili inondazioni del Rio Zarumilla. Ma prima ancora delle autorità peruviane la popolazione transfrontaliera è insorta, il Parque Lineal de Huaquillas viola gli accordi di pace e compromette l’integrazione tra le parti. Il governo peruviano di Kuczynski ne vuole l’interruzione: gli Accordi di Base del 1998 prevedono una fascia di 10 metri su ambo le frontiere libera da ogni tipo di costruzione: una zona franca, un cammino di servizio che finora ha permesso una forte integrazione tra la popolazione e ottime relazioni diplomatiche. Tumbes/Aguas Verdes e Huaquillas presentarono nel 2015 un progetto per una città binazionale, un Piano Integrativo per uno Spazio Urbano transfrontaliero.  Ma a settembre sarà pronto il Parque Linear, un muro camuffato da centro commerciale da 4,4 milioni di dollari.


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