Italia: Tortura, G8, Diaz, Bolzaneto. La condanna della Corte europea e l’iter infinito di una legge che tarda ad arrivare

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Sono trascorsi quasi 16 anni dall’irruzione nella scuola Diaz da parte della Polizia a Genova e dal trasferimento nella caserma di Bolzaneto, 2 dalla condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo ma la legge italiana sul reato di tortura non è stata ancora approvata in via definitiva.

La notte del 21 luglio 2001 in conseguenza degli scontri avvenuti durante tutto il giorno a Genova la Polizia fece irruzione nella scuola Diaz giustificando il gesto come una «perquisizione ad iniziativa autonoma» compiuta allo scopo di cercare armi e black bloc. I testimoni hanno raccontato tutt’altra versione, parlando di «cosa indegna in un sistema democratico». In tutti questi anni tanto è stato detto raccontato e denunciato ma ogni cosa sembra essersi arrestata dinanzi al muro di gomma dell’inadeguatezza delle leggi italiane che non hanno consentito equi processi in primis perché gli agenti, a viso coperto, erano sprovvisti di numero identificativo e secondo poi perché anche chi è stato processato non ha scontato alcuna pena per decorrenza dei termini. In un Paese democratico ciò non sarebbe mai dovuto accadere.

Il fatto poi che solo oggi, dopo quasi 16 anni, il governo riconosca pubblicamente che «durante il G8 di Genova sono stati commessi abusi e violenze contro i manifestanti» mentre ancora la legge sul reato di tortura rimbalza tra le due Camere sembra quasi una beffa, oltre al danno che innegabilmente c’è stato.

Il Guardasigilli Orlando ha dichiarato nei giorni scorsi, in merito ai tempi di approvazione del ddl, «siamo nella fase degli emendamenti, finalmente mi pare che ci sia la corsa libera in Senato per arrivare in fondo», sottolineando che «il ministro Finocchiaro è al lavoro su questo fronte e credo che potremmo adempiere a un impegno che a questo punto non è soltanto di carattere generale ma anche specifico su quella vicenda».

La relativizzazione alla vicenda della scuola Diaz è certamente doverosa ma un’adeguata legge sul reato di tortura è e sarebbe stata comunque necessaria, anche se quanto accaduto la notte del 21 luglio 2001 non fosse mai successo.

Nel nuovo testo di legge vengono introdotti anche i termini «reiterate violenze», l’agire «con crudeltà» e il «verificabile trauma psichico». Contestualizzazioni che possono far scattare la pena a dieci anni. Sulle violazioni commesse da esponenti delle forze dell’ordine invece si fa un passo indietro e i 15 anni proposti dalla Camera vengono di fatto annullati dall’emendamento approvato in Senato secondo cui «se tali fatti sono commessi da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni o da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio del servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni». Sfatando così ancora una volta il mito che funzionari amministratori e governanti pubblici devono rappresentare il corretto esempio ed esemplare deve o meglio dovrebbe essere la pena per coloro che violano la legge, trasgrediscono o commettono reato mentre svolgono e ricoprono il loro incarico ufficiale e pubblico. Se poi parliamo di ‘pubblica sicurezza’ ecco riaffacciarsi l’ombra della beffa che grava su questa come su troppe altre vicende.

Gravissima l’accusa rivolta dai giudici di Strasburgo all’Italia, rea di «aver sottoposto ad atti di tortura e trattamenti inumani e degradanti» le persone condotte nella caserma di Bolzaneto sempre in quella tragica notte del luglio 2001 e di «non aver condotto un’inchiesta penale efficace» complice anche la mancanza di un’adeguata legge sul reato di tortura. Ragazzi e ragazze tra i 18 e i 28 anni subirono insulti e minacce sessuali, furono costretti a denudarsi davanti ai poliziotti, nelle loro celle furono spruzzati gas orticanti, un testimone-vittima affermò di essere stato costretto a inginocchiarsi e abbaiare. Viene da chiedersi cosa esattamente pensavano di ottenere gli agenti che  hanno messa in scena questo squallido teatrino dell’orrore e della perversione. Loro che sono i fautori dell’ordine pubblico quale assetto di civiltà e giustizia intendevano raggiungere?

Con 6 dei 65 cittadini, italiani e stranieri, ricorrenti è stata firmata, lo scorso 7 aprile, una «risoluzione amichevole» in base alla quale il governo italiano si impegna a colmare la lacuna legislativa e predisporre corsi di formazione specifici «sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine», e risarcire ciascuna vittima con «45mila euro per danni morali e materiali e per le spese processuali». L’Italia quindi 16 anni dopo ammette le proprie responsabilità ma non può riconoscere che è stata tortura perché ancora non esiste una legge per questo tipo di reato.

In un articolo scritto nel 2011, in occasione dei dieci anni dai fatti del G8 di Genova, Amnesty International evidenziava i ritardi e gli errori del governo italiano, iniziati ancor prima che il vertice dei ‘grandi’ avesse luogo. Due giorni prima che «oltre 200.000 persone si ritrovassero a Genova per protestare contro il vertice del G8» Amnesty International «chiedeva alle autorità italiane di proteggere i manifestanti, garantendo un uso legittimo della forza da parte degli agenti della polizia». Un appello rimasto evidentemente inascoltato visto che tra il 19 e il 22 luglio del 2001 «Genova divenne teatro di aggressioni indiscriminate da parte degli agenti di polizia verso manifestanti pacifici e giornalisti durante i cortei, violenze ingiustificate nel raid alla scuola Diaz, arresti arbitrari e maltrattamenti nel carcere provvisorio di Bolzaneto». Amnesty  cita minacce «di stupro e di morte, schiaffi, calci, pugni, privazione del cibo, dell’acqua, del sonno e posizioni forzate per tempi prolungati».

Ad aggravare ulteriormente un quadro drammatico e sconcertante è il fatto che nei 10 anni intercorsi dai fatti di Genova all’articolo di Amnesty International «altri episodi hanno chiamato in causa la responsabilità dei corpi di polizia per l’uso delle armi e della forza»:

  • La morte di Federico Aldrovandi durante un fermo (2005).
  • La morte di Gabriele Sandri, raggiunto da un colpo di pistola sparato da un agente della stradale (2007).
  • La morte in custodia di Aldo Bianzino (2007), Giuseppe Uva (2008) e Stefano Cucchi (2009).
  • L’aggressione e gli insulti razzisti denunciati da Emmanuel Bonsu, fermato da agenti della municipale (2008).

La speranza o forse l’ingenuità nel voler credere che siano gli unici.

«Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani. Perché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilità e una complessiva trasparenza».

Che sia sempre chiaro il ruolo degli agenti e dei funzionari delle forze dell’ordine, che l’esistenza e/o la presenza di frange estreme non diventi una giustificazione o la regola per la prevaricazione dei diritti umani di cittadini e manifestanti, compreso il diritto alla esternalizzazione del proprio dissenso. Affinché sia sempre chiaro e definito e mai si superi il confine che porta dalla Polizia di Stato allo Stato di Polizia.


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