Vendicare Nizza, e Dacca ? (e altri ancora?)

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Un altro lupo solitario (?) ha sfogato la sua ferocia contro la folla inerme, stavolta lungo la Promenade des Anglais, nella città più italiana di Francia, in cui anche centinaia di nostri connazionali celebravano il 14 juillet, festa d’Europa. L’eccidio ha dilaniato le carni di decine di persone nel mezzo di una festa popolare, forse la più significativa per la modernità, e proprio per questo precipitato nel lutto una giornata carica di simboli come poche altre. Tutto ciò è certo, sebbene sia possibile che l’attentatore materiale, il franco-tunisino identificato come il responsabile della mattanza, non ne fosse consapevole.

Nessuno, neppure il più volenteroso ottimista tra noi, può affermare che l’orrore di Nizza (cosi come quelli che l’hanno preceduto per mano di terroristi che inneggiano al Dio più misericordioso), non venga replicato. E’ anzi ragionevolmente probabile il contrario, e nessun silenzio scaramantico può esorcizzare quest’incubo. Che anzi va approfondito, affinchè perda ogni alibi di fatalità storica, per venire ridotto a ciò che effettivamente è: la via scelta da una coorte disperata di fedeli dell’Islam, per sfuggire all’impossibilità di soddisfare i bisogni materiali e identitari di un arcipelago sociale e geografico che a grande maggioranza si proclama musulmano.

Una premessa di metodo me la suggerisce il richiamo più frequente del mio amico e vicino di casa a Buenos Aires, Jack Fuchs, ebreo polacco di Lodz, oggi pedagogo, unico sopravvissuto della sua numerosa famiglia dallo sterminio di Auschevitz. Avverte, Jack:”Vorrei che se io attraverso la strada con il semaforo rosso, non si dicesse: gli ebrei non rispettano i semafori… Rivendico per me e per tutti il diritto all’identità (e alla responsabilità) individuale…”.  Non voglio azzardare numeri, sebbene non manchino stime note: ma quanti saranno mai i militanti del terrorismo degli Osama e dei Baghdadi? Quale percentuale del miliardo e mezzo di musulmani che popolano il mondo?

Ammesso per puro esercizio retorico e immediatamente dopo negato che vi sia una guerra tra “noi” e “loro”, sarebbe di qualche utilità al desiderio di pace appiattire la percezione del molteplice, articolato e diversificato mondo islamico sulle sue peggiori connotazioni, quelle che identificano il terrorismo scaturito da qualche sua viscera? Non si tratta qui d’invocare qualche “dividi et impera” in nome di presunti vantaggi tattici. Bensì di ristabilire la verità dei fatti, pur nel mezzo del furore scatenato dal terrorismo (parola peraltro tutt’altro che ignota al lessico della politica irredentista europea e più in generale dell’occidente, dalle coorti anti-napoleoniche di Cadice alla guerra civile americana, etc.etc.).

Vibrano tutt’ora nelle nostre vene, rinfocolati dal sangue versato a Nizza, sgomento e rabbia suscitati dall’eccidio di italiani a Dacca. Quelle vittime non vanno dimenticate, pur nelle ondate emotive che ci colpiscono da ogni parte. Ma quale memoria deve onorarle? Mi hanno colpito i termini in cui, dal luttuoso episodio, Ernesto Galli della Loggia ha tratto occasione per un nuovo attacco indiscriminato all’Islam e agli imbelli italiani che continuano a distinguere tra fede religiosa ed estremismo vigliacco e assassino (Corriere della Sera, 11.07.16). Egli ritiene che l’Islam abbia in sé un suo, specifico problema irrisolto rispetto alla violenza.

E certamente questa è una contraddizione ineludibile che la cultura islamica (ma soltanto la cultura islamica?) non ha risolto. Nella vis polemica Galli della Loggia e quanti con lui parteggiano per interpretare certi conflitti attuali come uno scontro di civiltà, dimenticano di fare il minimo cenno ai secoli interi e numerosi nei quali la tecnica, la filosofia, la giurisprudenza islamiche hanno dominato il mondo post-bizantino dalla Sicilia, alla Bretagna e all’Iran, garantendo anche ma non sempre e neppure maggioritariamente con le armi una governance alla quasi totalità delle terre allora conosciute in un melting-pot di etnie, interessi economici e fedi religiose.

Dunque una convivenza c’è stata e a tener conto del suo contesto storico non può essere in assoluto ridotta a un puro regime di oppressione. Nè la frattura creata tra “noi” e “loro” dalla modernità, dunque il deficit di contemporaneità che ci separa, giustifica l’affermazione secondo cui oggi le rispettive concezioni della vita e del mondo rendano incompatibili ogni rapporto. Tanto è vero che a livello di stato-nazione la diplomazia e i commerci continuano intensi pur nei sommovimenti che agitano il mondo tutto e quello islamico in particolare. Perfino con un paese come l’Arabia Saudita, che giustamente indignato lo stesso Galli della Loggia indica come responsabile di ambiguità e connivenze che alimentano il terrorismo.


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