Il martirio di Luca Varani, le “colpe” dei padri e il ruolo dei media

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La tragedia nella quale ha trovato la morte il giovane romano Luca Varani si sta trasformando in un feuilleton macabro, a volte a tinte pruriginose, a causa di un voyeurismo mediatico che tutto travolge, poco incline com’è alla ricerca delle verità fondamentali. Luca era un ragazzo adottato, sfuggito al drammatico destino degli orfani di Sarajevo. La sua famiglia abita nella periferia Nord di Roma e lui scorreva la sua vita normalmente, alla ricerca di migliorare la propria condizione economica e sociale.
Gli altri due protagonisti, gli autori del martirio (torture seguite da un omicidio barbaro e ritualistico), vivevano al di sopra delle loro possibilità ed erano il frutto “naturale” di una società in disfacimento, in declino, come quella italiana (romana in particolare), dove droga a buon mercato, esibizionismo da social net, ricerca dell’appagamento edonistico sessuale, voglia di trasgressione come in un “gioco di ruoli”, un videogame o un ennesimo episodio Tv alla “Criminal Minds” o “CSI”, sono il viatico di una popolazione che si allarga dagli adolescenti fino agli over 40.

Il martirio di Luca è come se fosse avvenuto per disvelare quanto la “vox populi” aveva percepito da tempo o quantomeno aveva sentito dire, ma che non era stato documentato. E cioè che a Roma scorrono fiumi di coca, di “pasticche”, di medicinali psicotropi e di superalcoolici, specie in locali noti al pubblico vasto dei “social net”, ma anche alle forze dell’ordine, che però forse non sono ancora capaci di intervenire a fondo.

Anni fa, un’inchiesta sociologica documentò l’aumento stratosferico dell’uso di cocaina nelle maggiori città italiane, a scapito dell’uso di sostanze come hascisc e marjuana: nelle acque dei fiumi di Torino, Firenze e Roma furono trovate alte percentuali dei derivati della coca. Firenze veniva catalogata come la città più a rischio. Di quell’indagine non si sa più niente e nulla si conosce di altre eventuali inchieste né se magistratura, ministero della sanità, comuni e unità antidroga abbiano nel frattempo condotto altre analisi, al fine di far conoscere l’entità del fenomeno e suggerire misure di contrasto.

Fatto sta che il costante aumento dell’aggressività nelle ore notturne, gli incidenti stradali, spesso mortali, dentro e nelle vicinanze dei centri abitati, sono sempre più collegati all’uso di coca e di superalcoolici. Così come l’abituale “sballo” produce atti di violenza, soprattutto nei confronti delle donne o dei “diversi” (per sesso o per estrazione sociale).

Ora, è come se il “vaso di Pandora” fosse stato scoperchiato; ma né i media né la politica né le istituzioni (dalla magistratura alla sanità) si sono messe a scandagliare il fenomeno della “devianza”, le classi sociali coinvolte, il panel di età scolastico e lavorativo. Soprattutto, non si capisce come mai a fronte delle continue scoperte di traffico delle droghe leggere, come “il fumo”, non corrisponda un’analoga lotta al più remunerativo mercato della coca o delle “droghe sintetiche”. Difendere il futuro delle nuove generazioni è in primo luogo un dovere etico e civile dello Stato, proprio per difendere sé stesso dalla disgregazione e dalla sopraffazione della criminalità organizzata e contrastare il melmoso intreccio tra “dirty money”, politica e affari.

La società dell’edonismo internettiano promuove stili di vita trasgressivi, mette alla ribalta mediatica personaggi e situazioni fuori dalle regole, come fossero modelli da seguire a scapito dei comportamenti ritenuti “borghesi, anacronistici”, superati dall’evoluzione dei costumi e dalla omologazione dei vari strati sociali. Si rottama la politica e si rottamano anche i modelli di vita, i valori culturali ed etici, insomma.

I due torturatori di Luca sono al contempo figli e strumenti di questa deriva edonistica perversa. Assistiamo sui media ad analisi-scorciatoie para-psicologiche, che cercano di mettere in relazione la loro ferocia e il loro accanimento di drogati e di aguzzini, ma non aiutano certo a comprendere il fenomeno e la sua vastità. Riportare il tutto, come fanno i “salotti” dei vari talk con esperti, politici, tuttologi, e quant’altro, alle colpe delle famiglie, ai mancati controlli dei genitori, alla disattenzione degli insegnanti, al disagio sociale e sessuale dei singoli, diventa un esercizio autoassolvente. La società in declino, purtroppo, viene trasfigurata nei reality e nei talk show come il prolungamento delle “nuove tendenze” nate e propagate sui social net.
Il narcisismo criminale di questa “coppia dark” non può certo assolvere le responsabilità etiche delle rispettive famiglie, ma non sono quest’ultime le responsabile sic et sempliciter delle gesta criminali dei loro figli. Siamo di fronte a uomini adulti che hanno costruito la loro personalità dentro e fuori gli ambiti familiari e scolastici, che hanno abbracciato il culto edonistico e trasgressivo della persona, così dilagante nei locali e sui social net: anche loro in qualche modo succubi dei messaggi devianti che promanano programmi televisivi inneggianti al culto del fisico, della sopraffazione dell’altro, del facile guadagno, dello “sballo controllato”.

E’ più facile far avanzare la tesi autoassolutoria del “siamo tutti colpevoli” e, quindi, “siamo tutti innocenti”, in quanto le “colpe dei padri” ricadono sui figli e viceversa. Un narcisismo che trapela anche dalle parole, dette e scritte, dai padri della coppia dark, quando tendono al giustificazionismo, ad incolpare “agenti esterni” alla volontà e ai comportamenti dei loro figli: gli effetti distorcenti della droga, le cattive frequentazioni, il malessere esistenziale.

Certo, hanno agito nella difesa familistica dei loro figli, trasudando però egocentrismo e incongruenza. Nessuno dei genitori che abbia volto lo sguardo commiserevole verso il martire Luca, che abbia avuto parole di sdegno per l’efferatezza della tortura e dell’omicidio, che abbia chiesto scusa alla famiglia di Luca e si sia rivolto alla collettività per chiedere di arginare questo fenomeno di dissoluzione, che minaccia le giovani generazioni. Assistiamo invece al fariseismo delle parole paterne e ad un’interpretazione della morale cristiana tutta volta alla richiesta del perdono facile ed immediato, in virtù della semplice confessione dei peccati mortali e del probabile pentimento: come se l’atto criminale in sé stesso fosse trasceso dalla volontà degli aguzzini.

Ma il messaggio evangelico non è così autoassolutorio e “buonista” nei confronti degli assassini, dei “commercianti del tempio” e dei farisei. Gesù ebbe parole dure e atteggiamenti non certo pacifici. E questa lettura di assoluta condanna del male è stata fatta proprio dagli ultimi tre Papi, quando hanno comminato la scomunica ai mafiosi e messo fuori dalla comunità i preti pedofili. Il perdono, la misericordia, si può dare/ottenere solo dopo che sia stata espiata la condanna e riconosciuti nel proprio comportamento gli errori del passato, imboccando la via del cambiamento. Ma siamo noi, la comunità civile e quella dei credenti che stabiliamo come e quando accordare la misericordia. Non certamente attraverso i talk show o altre vetrine mediatiche.


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