Israele-Palestina. Una “guerra per procura” tra stragi vere e invenzioni mediatiche

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I venti di guerra si sono trasformati in “tempesta di piombo e morte”. Era scontato che, dopo il rapimento e l’uccisione dei tre ragazzi ebrei, il governo israeliano di Netanyahu avrebbe sferrato una ritorsione senza tregua verso i territori palestinesi. Dall’altra sponda, anche il brutale assassinio del giovane palestinese ad opera di fanatici ebrei, ha acuito le risposte armate di Hamas. Razzi verso i kibbutz e gli insediamenti dei coloni, da una parte, bombardamenti aerei a tappeto su “obiettivi mirati”, dall’altra.

Chiamatela come volete sui media, ma si tratta di una “guerra per procura”, forse un po’ atipica, molto giocata sulle immagini e le denunce di crudeltà verso i civili, amplificate dai media e dai social network. Ma pur sempre siamo di fronte ad un fenomeno bellico e al battage propagandistico delle reciproche “macchine della disinformatia”. Lodevole il contributo fornito in questa occasione dal servizio internazionale della BBC, la TV pubblica inglese ha messo in rete tramite il suo sito www.bbc.news-trending un servizio che demistifica alcune immagini che circolano sui social network e sui siti, tendenti a mettere in cattiva luce, in funzione pro-palestinese, il “regine razzista e nazista” di Tel Aviv.

Si scopre così che le immagini più crude e terribili, spacciate per attuali, sono state riprese invece da analoghe tragedie avvenute però in epoche diverse, addirittura avvenute anni fa, e soprattutto accadute in luoghi estranei alla Striscia di Gaza: immagini strazianti che riproducono le distruzioni avvenute ad Aleppo, in Siria, o a Bagdad, in Iraq, ad esempio, o ancora a Gaza ma in anni passati.

Questo “giornalismo senza giornalisti”, che già tanti danni ha prodotto durante la Primavera araba e nella rivolta libica contro Gheddafi, è il frutto di una mistificazione ideologica che sta alla base della cosiddetta “democrazia del WEB”: tutti possono fare i “citizen journalist”, ognuno può “postare” su blog o siti indipendenti immagini e documenti su quanto accade di tragico nel mondo, spacciandoli per veri e obiettivi (più le foto e i filmati sono drammatici più vengono ovviamente ripresi anche dai potenti media online!).

Il ruolo dei media “ufficiali” e dei professionisti del settore è quello di verificare e, grazie anche a potenti archivi computerizzati, attestare o meno la veridicità dei fatti.

Invece, assistiamo spesso nei servizi e nelle corrispondenze dai fronti di guerra a filmati di routine, immagini d’archivio senza citare dove e quando sono state riprese, oltre a dare per vere notizie di stragi o avvenimenti catastrofici ripresi in realtà da siti e blogger “indipendenti”.

E’ vero che con la crisi della stampa tradizionale e dei media convenzionali si è andata perdendo anche la figura dell’inviato di guerra che per lunghi periodi, anche a scapito della propria incolumità (in tanti ci hanno rimesso la vita!), si documentava sul posto, allacciando una rete di conoscenze, scremando le fonti e verificando in tempo reale anche immagini e filmati. Ed è altrettanto vero che nella guerra mediatica tra i grandi network TV e giornalistici online c’è una rincorsa senza esclusione di colpi ad accaparrarsi materiale scritto e videoregistrato più sensazionale possibile, anche senza verificarne la veridicità.

Più contatti ci sono online, più soldi entrano e più “autorevolezza” acquisisce l’edizione net di quel giornale o di quella TV!

Ma attenzione: in questo modo si acuisce la frattura ideale e culturale tra due opposte fazioni, fra i filo-palestinesi e i filo-islamici, da una parte, e i filo-israeliani o i filo-occidentali, dall’altra. Non si apportano dati e contributi per attenuare lo scontro, ma si eleva il livello della “guerra di civiltà”, che sta producendo in Europa una sorta di emulazione da parte soprattutto dei giovani (oppressi dalla crisi economica e dall’isolamento nelle periferie) verso chi si ritiene più “martoriato”, indifeso, reietto dalla storia e soggiogato dagli interessi economico-finanziari dovuti alla globalizzazione. In altre forme, si rischia di creare un clima di caccia alle streghe verso la “potente lobby ebraica”, che opprimerebbe il povero popolo palestinese “senza terra” e senza mezzi di sostentamento. Così si ingrossano anche le fila dei “combattenti per la jihad” tra i giovani bianchi europei e si accrescono i movimenti xenofobi.

Non centra nulla la lobby ebraico-sionista, accusata di egemonizzare i mercati finanziari del mondo e di orientare le pubbliche opinioni attraverso i media e la Rete. Niente di tutto questo: oggi i potenti del mondo sono di origine araba, cinese, russa, sudcoreana, brasiliana, messicana e indiana. I maggiori media tradizionali e WEB sono in mano a pochi monopolisti di religione cristiana o islamica. I debiti sovrani delle maggiori potenze della Terra (Stati Uniti ed Unione Europea) sono tenuti dalle banche nazionali dei vari emirati arabi, della Cina e dell’India.

Questa guerra così anomala, sta diventando una “guerra per procura”, simile a quei conflitti “regionali” che avvenivano per conto di alcune grandi potenze incapaci di confrontarsi direttamente, anche a livello diplomatico, mentre cercavano sotterraneamente accordi non divulgabili all’opinione pubblica. E proprio perché ci si trova in un periodo di forte crisi economica e sociale, si spingono gli “alleati più deboli”, quelli che vivono al di là e al di qua di “frontiere calde”, a prendere le armi.

Alcuni autorevoli commentatori sostengono che Stati Uniti e Iran stiano cercando di cavalcare questa tensione armata, per arrivare ad una sorta di rimescolamento delle aree di egemonia, legata essenzialmente al predominio sulle risorse energetiche e al loro utilizzo con nuove metodologie più performanti, oltre che al grande business delle infrastrutture (ricostruzioni edilizie, reti di trasporto, pipeline, gasdotti). Una riedizione del  Patto Sykes-Picot (siglato da Gran Bretagna e Francia nel 1916), insomma, che permetterebbe agli Stati Uniti di tenere a bada gli emirati del Golfo, oggi troppo propensi a finanziare le milizie armate jihadiste e troppo potenti finanziariamente, sotto lo sguardo arcigno dei “guardiani della rivoluzione” di Teheran, ridimensionando al contempo la forza di attrazione politico-laica di Egitto e Turchia.

Compito dei media, pertanto è cercare di “illuminare” questi aspetti nascosti e demistificare le false informazioni, non solo quindi di riprendere e documentare le stragi e le violenze quotidiane che avvengono in Medio Oriente, a volte al solo fine di “soddisfare i palati” virtuali di un’opinione pubblica sempre più spaventata e in balia della “disinformatia”.


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