FORUM ARTICOLO21 – “Giornalisti, per tornare ad essere credibili, specie nel servizio pubblico, bisogna riacquistare competenze”

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Oggi c’è una notizia che a me pare buona: chiude subito, alla sua prima uscita, la trasmissione Radio Belva, su ReteQuattro, la clonazione televisiva del programma radiofonico La Zanzara, di Cruciani e Parenzo, su Radio24. Perché è una buona notizia secondo me? Perché incominciano a ridursi gli spazi “lavandino” che programmatori e conduttori assegnano nei palinsesti dei diversi media, stimolando quelle operazioni che si fanno appunto nei lavandini quando l’acidità di stomaco supera i livelli  gastricamente compatibili. Ma la notizia mi serve ad aprire una riflessione che forse può essere utile al confronto che il forum va da settimane sviluppando.

Le trasmissioni radiofoniche di tipo satirico come la Zanzara e il suo più blando omologo, “Un giorno da pecora”, hanno avuto  un grande successo in breve tempo e, nel gioco dei vasi comunicanti che compongono ormai il brodo multimediale  giornaliero, sono stati spesso ripresi dagli altri media, carta, tv e rete.

Perché “facevano notizia”. Perché contenevano  confidenze, confessioni o, talvolta, veri e propri inediti, di personaggi  pubblici, che “si scoprivano” con gli impertinenti  conduttori , raccontando aspetti di interesse generale come se fossero  privati, in un clima di cameratismo che spesso rasentava la goliardia. Che piace tanto a tanti italiani, amanti delle barzellette che ti fanno sentire leggero e irresponsabile. “Ma era solo una  battuta….”: ritornello diventato in questi ultimi lustri addirittura assordante, come se fossimo in una perenne gita scolastica o al circo.

Perché i personaggi  pubblici, politici in primis che asfalterebbero la madre per un po’ di visibilità, “confessano” alla Zanzara e alla “Pecora” cose che poi magari si ritorcono contro loro stessi o innescano polemiche  dannose per i loro stessi interessi e non danno le medesime notizie a chi è tenuto a dare le notizie, cioè ai mezzi di informazione? Perché  preferiscono  i  comici o il cabaret  ai giornalisti?

Perché “tolgono i veli “ con Cruciani e non con Mentana  o Berlinguer?
Forse perché la  gente non crede più a quelli che Grillo chiama i “camerieri dei  politici” ?
Perché lo stacco tra quello che viene “ammannito” all’informazione  ufficiale, in specie del servizio pubblico, e quello che capita dietro le quinte è così ampio che addirittura la signora Maria, pur priva di fonti privilegiate, se  ne  accorge?

Perché  i  telegiornali  infliggono in ore dedicate alla pausa e al giusto rilassamento dopo una giornata faticosa  quella  galleria, talvolta da incubo, di 30 secondi a testa  di “recita”, con occhi sbarrati, minacciosi, verso il telespettatore, di  personaggi  inquietanti  come Gasparri, Capezzone, Santanchè, per ricordare solo i più antipatici?
Forse perché hanno rinunciato all’esercizio di responsabilità  che il telespettatore o l’abbonato Rai si aspettano dal giornalista?
Perché non è certo colpa di Gasparri, Capezzone o Santanchè se recitano a memoria il rosario che gli è stato ordinato di snocciolare: come direbbe Leopardi “di natura è frutto ogni loro vaghezza”.

Il telespettatore vuole capire cosa è capitato e perché è capitato; e si aspetta che il giornalista glielo spieghi. Con chiarezza e onestà. E quando la questione è complicata gli dica che è complicata e provi a spiegarla in modo esaustivo e comprensibile, non semplificandola arbitrariamente.
Non si tratta ovviamente solo di pastone politico, anche se sento talvolta acuta nostalgia di Emmanuele Rocco e Peppino  Fiori che ti facevano capire perché la DC aveva preso quella posizione, perché il PCI si opponeva o che cosa avevano in mente i socialisti.

Si  tratta di tutto un sistema di informazione che sembra avere in una certa misura abdicato alla propria responsabilità.  E non basta barricarsi dietro il diritto di cronaca per non indagare a sufficienza  sul perché.
Delle basilari 5 W della professione, il come e soprattutto il perché sembra si siano inabissate  nel mare del fluire incessante “dell’ultima ora”. Con l’informazione in tempo reale, e ormai ci siamo arrivati, siamo completamente schiacciati  sul presente.  Di più, sull’istante.

Ma chi fa i riscontri, chi approfondisce, chi spiega  le cause? Perché, ad esempio, periodicamente qualche protagonista politico, per ultimi Monti e Grillo, denuncia la necessità di una “operazione verità” sui conti pubblici  e nessuno mai la intraprende? Chi spiega a un’opinione pubblica già stressata, insicura e impaurita di suo, se ha ragione il comico genovese a dire che “siamo sull’orlo del  baratro” e rischiamo di trovarci davvero in brache di tela, o il Presidente del Consiglio a dire che l’anno prossimo incomincerà la ripresa e i guai si allontaneranno?
La responsabilità  del giornalista  sta semplicemente nel registrare queste dichiarazioni o andare a verificare com’è davvero la situazione?

Quanti giornalisti ad esempio sanno leggere un bilancio, se non dello Stato, almeno di un Comune, di una  Regione o di un’azienda  medio-grande, o, per stare nella attualità degli ultimi tempi, di una banca?
Per tornare  ad essere  credibili, specie nel servizio pubblico, bisogna riacquistare  competenze. In vari campi. Competenze che diano qualità al prodotto, che facciano tornare a dire come era uso comune “l’ha detto la tv”.

I giornalisti in questi ultimi anni hanno spesso copiato i peggiori  difetti  dei  politici : la supponenza, un certo senso di invulnerabilità alle umane cose, facendo parte della casta, soprattutto la mancanza di umiltà. E il desiderio di essere “parte”. Anzi, la giustificazione, in funzione di una supposta anti-ipocrisia, di essere parte. Questo è forse l’errore più strutturale che ha compiuto la categoria, dentro un sistema anche tecnologicamente in evoluzione, che ha aperto il campo di gioco a mille voci e mille soggetti che hanno diritto di parola. Sulla rete e sui media.

Ma  ogni  sistema  democratico si regge sui contrappesi di potere, e quando qualcuno, da Berlusconi  in giù, a Calderoli  a Capezzone e compagnia cantando, blatera  sui giudici “funzionari non eletti  dal popolo” e come tali non legittimati  a esercitare le loro funzioni , sarebbe necessario un pronto contradditorio da parte del cronista, “pro veritate”. E in ogni sistema democratico le funzioni “terze” sono fondamentali. L’informazione ha da essere terza e non partigiana, per contribuire in modo responsabile ad alimentare il corretto funzionamento della democrazia. Che sarà pure pessima talvolta, ma, come ricordava Churcill, è il  “sistema meno peggio” che abbiamo trovato.

Per essere terzi, bisogna essere credibili; per essere  credibili  bisogna  essere  innanzitutto  competenti. Studiare, studiare, studiare, sapendo di  non  sapere e che nessuno “nasce imparato”.

Qualche anno fa Fruttero e Lucentini  denunciavano  la “prevalenza  del  cretino”, preveggente pronostico che si è spesso  rivelato  esatto in modo  agghiacciante. In politica e nel giornalismo.  Ricominciando a studiare, con l’idea di dare un servizio di qualità , come un bravo medico che non smette mai di aggiornarsi, o un ricercatore che vuole sconfiggere il cancro, anche noi ce la possiamo fare.
E  isolare più facilmente il cretino.


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