L’attentato ad Halle, una peste antisemita che dilaga

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C’e’ un detto, che spiega molto: “Si comincia con gli ebrei, o si finisce con gli ebrei. Comunque vada, degli ebrei non ci si dimentica mai…”.
L’odio nei confronti degli ebrei e’ una peste che non conosce latitudine, confine, nazionalita’. In queste ore ha colpito ad Halle, una cittadina tedesca della Sassonia-Anhalt: un nazista indossa una tuta mimetica, fissa nell’elmetto una telecamera per filmare in diretta l’impresa che si accinge a compiere, apre il fuoco, uccide due persone, urlando che gli ebrei “sono la radice di tutti I problemi”. Poteva essere una strage: questo fanatico nazista aveva pianificato con cura la sua “impresa”: la festa dello  Yoom Kippur, la ricorrenza religiosa ebraica che celebra il giorno dell’espiazione; la presenza di centinaia di persone, decine di ragazzini.

Chi ha potuto vedere il filmato (violentissimo, giustifica la censura nelle sue parti piu’ crude), ha rivisto le terribili immagini dell’attaco del 15 marzo scorso alle due moschee di Christchurch, nella Nuova Zelanda. Nel corso di sconcertanti 35 minuti l’attentatore si esibisce in un dissennato monologo che esporre i punti di vista dell’estrema destra, poi si avvicina alla sinagoga; non riesce a entrare, bloccato dal servizio d’ordine; scaglia una granata sul vicino cimitero; per una decina di minuti fa esplodere altri ordigni qua e la’, infine non trova di meglio che imbracciare il mitra, il fucile semi-automatico e la rivoltella, e mettersi a sparare a caso; ci va di mezzo una donna che passava per caso. Entra in un negozio, uccide una seconda persona, si da’ alla fuga. Quando lo catturano scoprono che la sua automobile era piena di armi, oltre a un laptop e una macchina fotografica: tutto documenta che  l’attacco sia stato pianificato con cura; e forse non e’ l’”azione” di un solitario “lupo”. Non si puo’ escludere che dietro l’attentatore vi sia un branco composto da altrettanti fanatici neo-nazisti.

Di per se’ l’episodio e’ inquietante. Inquietudine che aumenta nell’apprendere che numerose comunita’ on line di estrema destra definiscono l’attentatore “santo”, ne esaltano l’‘impresa”.

“Oggi” in Germania, “ieri” in Italia. Il 9 ottobre del 1992 un commando di cinque terroristi palestinesi affiliati al gruppo di Abu Nidal, consumava un sanguinoso attentato alla sinagoga di Roma. L’attentato, il più grave atto antisemita avvenuto in Italia dal dopoguerra, causa la morte di Stefano Gaj Taché, di appena due anni, e il ferimento di altre 37 persone. Sono le 11,55. Si celebra contemporaneamente lo Shabbat e il bar mitzvah di alcune decine di adolescenti della comunità ebraica romana e lo Shemini Atzeret, a chiusura della festa di Sukkot. Ci sono almeno 300 persone, una cinquantina di ragazzini. Stefano Gaj Taché viene colpito a morte da una scheggia di una bomba a mano. Altre 37 persone vengono ferrite piu’ o meno gravemente.

Tra questi due, una lunga, infinita catena di attentati e stragi antisemite, ovunque, in Europa e in tutto il mondo. Indossare una kippah e’ diventato rischio; e sono tanti gli ebrei che ormai considerano piu’ sicuro – o comunque meno pericoloso – vivere a Gerusalemme o Tel Aviv, piuttosto che a Parigi o Berlino.

Tempo fa i risultati di un sindaggio dell’Unione Europea: il 49 per cento degli ebrei svedesi non mette la kippah per paura. Non lo fa il 38 per cento degli ebrei di Bruxelles, il 40 per cento degli ebrei francesi. Liberta’ e democrazia passano anche per poter essere ebrei senza doversi nascondere. O no?

Come sconfiggere la “peste” dell’antisemitismo, e in generale la paura e la demonizzazione del “diverso” che viene bollato come “perverso”? Leggere, studiare, la cultura, viaggiare, conoscere. Non c’e’ migliore antidoto.

Una grande responsabilita’ e’ di quanti ricoprono incarichi istituzionali, politici, e di chi fa informazione: le parole che si usano, i concetti che si esprimono, i gesti; e poi quello che per pigrizia o indifferenza si lascia dire e si lascia fare: il non condannare e isolare per tempo le manifestazioni di intolleranza e anzi, in qualche misura giustificarle. Per tornare all’attentato ad Halle: per qualche ora, per qualche giorno, si esprimera’ dolore e sdegno, riprovazione e condanna; sentiremo discorsi infiammati, non mancheranno promesse e assicurazioni. E poi?


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