Non comprendere che quanto accade al nostro vicino ci riguarda è segno di presbiopia

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Come sempre abbiamo fatto, ospitiamo ancora una volta un intervento, che, vorremmo ricordare, dovrebbe concernere la grave emergenza degli attacchi contro giornaliste, giornalisti, lo stesso presidente del sindacato Giulietti, persino il sito di un’associazione, Carta di Roma, da anni impegnata quale osservatorio su media e migrazioni.
Vogliamo però ricordare che non siamo e non vogliamo essere semplice veicolo di scaramucce: al contrario siamo soggetto attivo e indipendente promotore di campagne che, spesso con pochi compagni di strada, hanno consentito a croniste e cronisti sotto attacco di non sentirsi soli e poter continuare il proprio impegno nonostante minacce, insulti, aggressioni fisiche, verbali, online e per vie legali.
Vorremmo ribadire che la “categoria”, cioè quanti hanno abbracciato il nobile mestiere del giornalista (così lo intendiamo), ha una missione primaria che va almeno di pari passo con la contrattazione economica: tener fede al proprio primo dovere che è quello di pubblicare le notizie cercando la verità più attendibile, nella continenza dei toni e delle parole e nel rispetto dei soggetti raccontati e dei cittadini, con lo sguardo rivolto sempre ai più deboli che solo un giornalismo accurato, libero da condizionamenti e minacce, e di qualità può garantire; cioè l’attuazione piena della legge costitutiva dell’Ordine e, in ultima analisi, della Costituzione.

Individuare nel nostro impegno contro fascismi, mafie, poteri occulti, per un giornalismo che sia degno di questo nome, un escamotage per distrarre dai reali problemi della categoria significa, a nostro avviso, non comprendere che lo stato attuale dell’editoria e la condizione della ormai stragrande maggioranza di colleghe e colleghi sono strettamente connessi a una gestione dell’economia e della finanza, delle istituzioni di governo e di potere che punta a usare l’informazione come strumento di pressione a basso costo e non come elemento di garanzia per la vita democratica di un paese, privandola così ogni giorno di più di dignità e autorevolezza.
Noi non siamo sindacato e non siamo neanche un’associazione di giornalisti, quindi il confronto sindacale chiediamo che si svolga nei tavoli dedicati e di certo il segretario Lorusso, il presidente Giulietti e chiunque si senta chiamato in causa sapranno rispondere.
Ma, essendo molte e molti di noi giornalisti con percorsi e storie diverse e anche in molti casi difficili e di lungo precariato, sfruttamento e umiliazioni ripetute, ci riconosciamo a pieno nella linea di alto profilo dell’attuale dirigenza della Fnsi che, vogliamo ricordare, ha saputo tener testa ai tanti esponenti dei passati governi che dichiaratamente puntavano ad annullare qualunque sostegno per quella parte dell’editoria indipendente e di qualità, a favore, nei fatti se non nelle intenzioni, dei grandi gruppi controllati dalla finanza e dalla politica. Una strategia, quella della Fnsi, che ha portato a riaprire il tavolo con alcuni esponenti dell’attuale esecutivo, sia sul fronte del sostegno economico che dell’attenzione per la crescente deriva di odio, violenze e abusi che mette a repentaglio la libertà e completezza della nostra informazione. Una deriva che mette in pericolo la sopravvivenza fisica ma anche professionale di tante colleghe e colleghi.
Non comprendere quindi la centralità dell’impegno contro fascismi, mistificazioni, negazionismi, campagne di odio e fake news serve solo ad abbandonare a se stessi proprio quella moltitudine di precari che più di chiunque altro nella “categoria” è vittima di questa deriva.
Ci stupisce, infine, da parte di un collega che ha dedicato la vita e non solo la lunga carriera professionale a raccontare il “continente dimenticato” per eccellenza, cioè l’Africa, quel modo di liquidare frettolosamente come velleitaria l’attenzione per le crescenti e gravissime violazioni della libertà di stampa e dei diritti umani e civili nel resto del mondo. Non comprendere che quanto accade al mio vicino finirà per travolgere anche me è per lo meno segno di grave miopia. O forse piuttosto di presbiopia.

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