Mali, colpo di stato per aiutare la democrazia. Ma nessuno ci crede

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Nelle ore in cui scoppiavano le nuove proteste in Sudan, nel Mali i militari arrestavano presidente e premier.
A Khartoum si chiede di velocizzare il processo di democratizzazione e le forze di sicurezza reprimono il sit-in con lacrimogeni e cariche.
A Bamako l’esercito sull’onda del malcontento della popolazione, che chiede riforme ed eguaglianza nella società, depone con un golpe il governo democraticamente eletto.
Per quanto ci provino a cambiarlo, il futuro delle nuove generazioni africane, che sognano pace e democrazia, sarà sempre condizionato dal potere delle armi. Quelle armi che noi occidentali continuiamo a vendere a dittatori e generali che vessano i propri popoli sotto lo sguardo complice delle cosiddette ‘democrazie compiute’.
In Mali, come in Sudan nel 2019, le forze armate hanno assicurato che deporre il presidente Ibrahim Boubacar Keita è stato il primo passo per istituire un governo di transizione per poi garantire lo svolgimento di nuove elezioni.
In una dichiarazione questa mattina, in diretta sull’emittente televisiva statale “Ortm”, gli autori del golpe hanno assicurato una gestione politico – civile che porti al voto “in tempi ragionevoli” e hanno annunciato la creazione di un Comitato nazionale per la salvezza del popolo. Ma nei fatti, l’atteggiamento appare demetrialmente opposto. Oltre ad ordinare la chiusura di tutti i valichi di frontiera i militari hanno imposto un coprifuoco notturno dalle 21:00 alle 5:00. “Noi, le forze patriottiche raggruppate nel Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Numc), abbiamo deciso di assumerci la responsabilita’ davanti al popolo e alla storia”, ha detto il portavoce dei golpisti Ismael Wague’, vice capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare.
A fronte di quanto stia avvenendo in Mi, le missioni internazionali presenti nel Paese – Minusma, Barkhane, G5 Sahel e la neonata task force Takuba – guardabo con preoccupazione all’evolversi della situazione mentre il comitato che ha preso il potere assicura che saranno partner “per il ripristino della stabilità” e che saranno rispettati tutti gli accordi internazionali attualmente in corso, tra cui l’accordo di pace di Algeri firmato nel 2015.
In questo scenario instabile ancora non è ben chiaro il ruolo dell’opposizione, che da tempo chiede riforme.
I militari si dicono pronti a colloqui che portino a nuove elezioni.
Al momento, esponenti di spicco della la società civile e i movimenti sociali politici restano cauti. C’è chi tra i golpisti ha lanciato un appello a unirsi a loro per ”creare insieme le migliori condizioni per una transizione politica civile che porti a elezioni generali credibili per l’esercizio della democrazia attraverso una road-map che getterà le basi per un nuovo Mali”.
I propositi preannunciati danno adito a sperare, ma altro non sono, appunto, che propositi… è presto per comprendere quale reale cammino sarà intrapreso per il futuro del Paese.


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