Un filo rosso lega la difesa di Nello Scavo e dell’editoria: la libertà d’informare ed essere informati

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“Non vorrei che chi ha minacciato Nello Scavo ce lo trovassimo seduto al tavolo delle trattative per il rinnovo del Memorandum sulla Libia”. E’ tutto talmente aggrovigliato e paradossale che quando Beppe Giulietti pronuncia questa frase nessuno pensa sia una provocazione: potrebbe davvero accadere.

Il luogo: il lungo tavolo ellittico delle riunioni di Avvenire, la testata dove Nello Scavo ha pubblicato i suoi articoli che descrivono una perversa alleanza fra i (sospettati) trafficanti di esseri umani libici e le autorità italiane. Da un lato del tavolo il direttore del quotidiano Marco Tarquinio, e la delegazione del sindacato giornalisti e di Articolo 21 che porta la solidarietà al cronista minacciato; dall’altra parte del tavolo, un po’ seduti e un po’ appoggiati ai mobili come le assemblee di una volta, la redazione di Avvenire. Due i concetti ripetuti negli interventi: 1) non si può darla vinta a chi minaccia Nello Scavo e quindi occorre che la categoria si mobiliti al suo fianco, anche attraverso la pratica della “scorta mediatica”, cioè proseguire il suo lavoro, arricchirlo, aggiungere capitoli; 2) proprio perché Avvenire ha coraggiosamente fatto emergere questa scomoda verità sulla Libia è ancora più necessario bloccare i tagli all’editoria che cancellerebbero il pluralismo. Su quest’ultimo punto il presidente della FNSI Beppe Giulietti ha portato la notizia dell’impegno del sottosegretario all’Editoria Andrea Martella a emendare la manovra eliminando quei tagli. Sul primo punto, quello della solidarietà, si devono registrare luci ed ombre.

Se n’è fatto portavoce il direttore di Avvenire che ha riconosciuto che non c’è stata tutta quella solidarietà sperata, e che l’iniziativa di FNSI, Associazione Lombarda dei Giornalisti e Articolo21 è stata la più forte. Un vizietto del giornalismo italiano: sospettare il collega di autominaccia, immaginare un complotto per farsi pubblicità, esercitarsi in dietrologie. Girare sotto scorta non è una passeggiata: tutto sommato è una forma di gabbia, rischia di incrinare le relazioni affettive, rende difficile anche il lavoro giornalistico. Fosse un problema di pochi “eletti”: Beppe Giulietti ha ricordato che sono 22 i giornalisti italiani minacciati, e se appena ci guardiamo intorno a noi – in Turchia, in Russia, nei Balcani – scopriamo che la caccia al giornalista scomodo è aperta. Anna Del Freo, che rappresenta l’Italia nel sindacato europeo dei giornalisti EFJ, ha sottolineato il caso di Svetlana Prokopieva, che rischia fino a sette anni di carcere per le sue inchieste sgradite al governo Putin. In quella grande stanza al sesto piano di Avvenire, bella vista su Milano, i ritratti dei papi alle pareti, non c’è stato, quindi, semplicemente il rito formale della pacca sulla spalla al collega minacciato: anche oggi il giornalismo è sotto attacco da parte di poteri pubblici e imprese criminali che hanno bisogno di opacità. Difendere Nello Scavo, cancellare i tagli all’editoria sono legati da un filo rosso che si chiama libertà d’informare ed essere informati.

Danilo De Biasio, portavoce Articolo21 per la Lombardia
direttore Festival dei Diritti Umani


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