“Gettiamo la maschera sul decreto (in)sicurezza”. L’appello di Nigrizia

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Visto il continuo braccio di ferro sulle vite dei migranti a bordo della Sea-Watch il prossimo numero di Nigrizia (luglio/agosto) ospiterà un editoriale che è anche un appello morale sul “decreto (in)sicurezza bis”. Di seguito ne anticipiamo il contenuto.
“Scriviamo a te amico-amica. Che leggi ma anche che non leggi, a prescindere. Che non vuoi ascoltare. Vorremmo raggiungerti per un attimo. Anche per radio o guardandoti in volto. Prenderti due minuti. Non per convincerti, ma per lasciarci scuotere dentro.
19 giugno 2019. Due barchette di legno approdano a Lampedusa con a bordo 45 persone. Fratelli e sorelle. Prima e sempre di essere migranti. Tra loro due bambini e una donna incinta. Tutti dall’Africa subsahariana. Mentre altri 43, fratelli e sorelle, attendono al largo sulla nave Sea Watch. Perché alcuni sì e altri no? Il diritto alla vita non è per tutti? O è solo per chi è già al sicuro?

In Occidente abbiamo fatto delle battaglie per i diritti umani. Ma erano i nostri e non degli altri. Allora scoperchiamola questa verità! Togliamo l’ipocrisia e diciamocelo con franchezza: qualcuno sulla terra è più importante di altri. Ci sono cittadini di diverse serie al mondo.

Chi è sbarcato lo ha fatto senza le luci dei riflettori. Chi resiste sulla nave è più visibile, più mediatico, più strumentale alla retorica dei porti chiusi.

Il decreto (in)sicurezza bis, firmato dal presidente della Repubblica il 15 giugno scorso, parla chiaro: inasprire le pene alle navi che approdano con migranti e mettere tutto sotto il controllo del Viminale. Si tratta di sicurezza di chi è a terra non di chi è in mare; di chi è barricato non di chi scappa. Ma se ci pensiamo un attimo non viene prima la sicurezza di chi è minacciato nella vita? Perché non diciamo forte e chiaro che questo decreto è contro la Costituzione e contro il Vangelo? Contro sicuramente l’umano che ancora, speriamo, abbiamo in noi.

«Dov’è tuo fratello?» (Gn 4,9) chiede Dio al Caino che ha fatto fuori suo fratello. Francesco, vescovo di Roma, lo ha detto l’8 luglio 2013 a Lampedusa e non manca di ricordarcelo. Quel grido risuona ancora oggi dentro le paure di un mondo che produce 70,8 milioni di rifugiati (Unhcr).

Siamo chiamati a schierarci tutti. Da umani prima che da cristiani. Per riconoscere fratello, sorella chi è nel ventre di una madre in attesa, ma anche chi ne è uscito, è debole ed è minacciato nell’esistenza. Grande o piccolo che sia. Battaglie sul tema dell’aborto ne facciamo tante. In nome della vita. E cosa facciamo per chi, questa vita, ce l’ha in balia delle onde?

L’umanità naviga in acque molto agitate. Questo sistema non funziona più. Ripartiamo dall’umano che è rimasto in noi. Che sa cogliere nell’altro noi stessi. Se affoga, anche noi andiamo a fondo.

Fratello, sorella. I due minuti sono finiti. Ora torniamo pure alla vita di sempre. In fondo c’è solo da cambiare il mondo.


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