“C’è in giro una voglia di limitare i diritti e di aggiungere ‘reati’. Intervista a Davide Falcioni

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“Mi ero preparato a questo esito, me lo aspettavo ma adesso è ovvio che trovo il verdetto anomalo, più che altro emblematico di un certo clima che tende a restringere i diritti di tutti e dunque anche dei giornalisti”. Non ci sono mezzi termini nel concetto espresso da Davide Falcioni, il giornalista di Fanpage condannato a quattro mesi per il reato di violazione di domicilio commesso quando seguiva per Agoravox il movimento No Tav in Valsusa. Per documentare il suo servizio ha seguito gli attivisti nell’occupazione della sede della Geovalsusa, insomma ha fatto il lavoro di cronista andando “sul posto” e guardando con i suoi occhi, questo gli è valso la condanna. Ma adesso quella sentenza è uno spunto per riflettere sulla libertà dei cittadini e dei giornalisti. “Durante il processo e con questa sentenza si è voluto dare un’indicazione su come fare il lavoro di giornalista. – dice Davide – Mi è stato chiesto perché sono entrato e non mi sono, invece, fatto raccontare come stava andando l’occupazione dalle forze dell’ordine. Cioè il contrario di ciò che deve fare un giornalista. Ci viene chiesto di documentare direttamente i fatti e poi in un processo ci si dice il contrario”.

Ad ogni modo sono il direttore ed eventualmente l’Ordine dei giornalisti a dire al cronista come fare il proprio lavoro, non altri organismi. No?
“Infatti. Purtroppo io noto una sorta di voglia di sostituirsi,  nelle indicazioni da dare ai giornalisti, ai soggetti deputati a farlo. Molti vogliono dirci come dobbiamo comportarci, senza averne il titolo. Quindi: ci si dice come andare alle conferenze stampa e agli eventi, come scrivere, cosa prediligere… E  ora si cambia anche una regola basilare, ossia quella in base ala quale dobbiamo raccontare in presa diretta”.

Succede solo per fatti molto scomodi comunque. Così almeno sembra o no?
“Certo, quando vai a documentare un fatto scomodo diventa tutto più difficile. Ma questo lo sapevamo già. Ciò che noto adesso è una rapida e progressiva restrizione dei diritti. C’è in giro una voglia di limitare i diritti e di aggiungere ‘reati’ oserei dire nuovi e legati a questo tempo. Per esempio: accogli i migranti a Bardonecchia? Ti vengono a fare i controlli con metodi che prima non si erano visti. Oppure: viene censurato il comportamento di chi soccorre esseri umani e li salva dall’annegamento. O, come nel mio caso, censurano il fatto che racconti la protesta guardandola negli occhi. Son convinto che ci sia la volontà crescente di limitare alcune libertà e diritti, incluso quello di cronaca. La verità è che stiamo vivendo un momentaccio nel quale vengono praticamente criminalizzati quelli che fanno il loro dovere o semplicemente coloro che fanno valere i loro valori. Mi pare sufficientemente grave”.

Hai imparato la “lezione”, oppure continuerai a violare le regole?
“No, non ho imparato. Io sono un giornalista e decido come pubblicare la notizia, come seguirla. Non me lo deve dire la polizia. Sono io che devo raccontare, sono io che decido cosa è notizia e poi valuto con il direttore. Noi giornalisti andiamo dove c’è la cronaca e violiamo tante volte le regole se crediamo che siano preminenti l’interesse pubblico e il diritto dei cittadini a sapere cosa succede. Siamo testimoni diretti dei fatti”.

La tua vicenda e la tua condanna arrivano in un momento oggettivamente difficilissimo per l’informazione in Italia, con un sito chiuso dalla magistratura, colleghi cui vengono sequestrati strumenti di lavoro, altri minacciati, esclusi dalle convention. E’ una caccia alle streghe?
“No, semplicemente si sta tentando di limitare i diritti. Ciò che dicevo prima. C’è voglia di silenziare notizie scomode, movimenti, proteste libere. In una parola: la libertà”.


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