Scuola dell’Infanzia violata da maltrattamenti e abusi. Come fermare tanta rabbia?

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Dalla onlus La via dei colori, fondata e presieduta da Ilaria Maggi, avvertono di usare con cautela termini come maltrattamenti e abusi, almeno fin quando non si hanno prove certe di quanto può rivelarsi solo un’apprensione esagerata o un fraintendimento. Esistono dei campanelli d’allarme, sintomi specifici che connotano in maniera pressoché inequivocabile una situazione d’abuso. Questi campanelli però sembra che li ascoltino troppi genitori.

Dal dicembre 2010 al marzo 2017, La via dei colori ha preso in carico circa 95 processi per reati di maltrattamento (572 cp), abuso dei mezzi di correzione (571), abuso sessuale e pedofilia. 95 processi, non segnalazioni o denunce. Sul sito ministeriale si legge che, per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, è previsto un numero minimo di 18 e uno massimo di 26 bambini per classe. Considerando una semplice media ponderale di 22 bambini se ne deduce che nei 95 processi seguiti dalla onlus sono coinvolti, a vario titolo, almeno 2090 alunni. La via dei colori non è l’unica associazione che si occupa di questo e i tribunali in Italia sono tantissimi… Si arriva così a cifre spaventosamente alte da indurre immediatamente a chiedersi cosa in concreto è stato fatto per prevenire ulteriori aggressioni e maltrattamenti, denunce e processi.

Sembra impossibile reperire, forse perché non esiste, un dossier, un report ufficiale, un’indagine conoscitiva istituzionale sulla situazione scolastica italiana, o meglio sulle qualifiche degli insegnanti, sulle procedure di valutazione, se ce ne sono, e sui dati relativi ai maltrattamenti e agli abusi ma soprattutto sulle conseguenze a lungo termine. Sulle innocenti vittime certo ma anche su chi le ha generate. Che fine fanno questi insegnanti?

I casi balzati alla cronaca che hanno destato maggiore clamore sono stati sovente accompagnati da spezzoni di video delle riprese effettuate dalle telecamere nascoste posizionate dalle forze dell’ordine. Immagini che colpiscono soprattutto per le urla, tante urla da parte delle o degli insegnanti. I locali di quelle scuole hanno l’isolamento acustico? Difficile a credersi. Come arduo è pensare che nessuno sentisse. Non si denuncia per omertà o perché lo si considera un atteggiamento educativo normale? In entrambi i casi si parla di situazione terrificante inammissibile e inaccettabile.

In un’intervista rilasciata per ilfattoquotidiano.it, la Maggi parla di circa 13 segnalazioni al giorno ricevute al numero verde dell’associazione. Non sempre si tratta di reati già commessi certo ma nel corso della loro attività hanno scoperto di «insegnanti che li tengono legati, che fanno mangiare loro il cibo vomitato e che usano percosse non solo con le mani. Le vessazioni sono all’ordine del giorno».

Più di una volta è capitato che i dirigenti dell’istituto coinvolto hanno provato a giustificarsi adducendo di non sapere, di non essere a conoscenza e di non essersi mai resi conto… scusanti che, in ogni caso, non li esimono dalla responsabilità legale e, soprattutto, morale di quanto accaduto. La legge italiana non ammette ignoranza, neanche noncuranza e mai come in questi casi così deve essere.

Violenze non solo fisiche ma anche psicologiche sono state documentate in diversi asili nido, con «urla sistematiche e cibo spesso raccolto da terra e imboccato a forza erano purtroppo la norma per una ventina di spaventatissimi bambini, troppo piccoli per reagire o solo per parlare con i genitori». Agghiacciante il resoconto che rovigooggi.it fa di quanto accaduto nell’asilo dove l’intero corpo docente, composto da tre maestre, è risultato coinvolto. Violenze fisiche e psicologiche protratte su bambini di età compresa tra uno e tre anni.

Sembra che oltre al danno ci si diverta quasi ad aggiungere anche la beffa allorquando si tenta di giustificare i comportamenti ritenuti “meno gravi” come reminiscenza di una formazione e, conseguentemente, di un’educazione all’antica. Il fatto è che non conta se e quando era in vigore o di uso comune una simile tipologia di educazione, in famiglia o a scuola, il punto è che nel Terzo Millennio è assolutamente inaccettabile anche solo credere di poter giustificare una tal simile mancanza di correttezza e professionalità in educatori ed educatrici che sono, in un certo senso, figure istituzionali perché si occupano, o dovrebbero farlo, dell’educazione di coloro che saranno i cittadini futuro dello Stato, che direttamente o indirettamente, tra l’altro, garantisce loro il posto di lavoro e il salario.

Lavorare a stretto contatto con i minori di anni sei richiede una preparazione e delle conoscenze che non riguardano solo la sfera della didattica, abbracciando invece campi che vanno dalla psicologia alla medicina in senso stretto. Gli operatori de La via dei colori sottolineano l’importanza di conoscere aspetti e caratteristiche del funzionamento del corpo umano anche per evitare di causare danni involontari ma che potrebbero egualmente essere gravi e irreversibili per i piccoli alunni.

Shaken Baby Syndrome, ovvero la ‘sindrome da bambino scosso’ può essere una terribile conseguenza di un gesto che in pochi sanno o ritengono essere potenzialmente molto pericoloso. Il cervello dei neonati e dei bambini molto piccoli è ancora immaturo e lo scuotimento con brusche accelerazioni e decelerazioni del capo causa o può causare lesioni di tipo meccanico all’encefalo.

Il 21 novembre 2013 La via dei colori ha lanciato, a tal proposito, l’iniziativa #iostoconMattia per sensibilizzare genitori e insegnanti «sulla Shaken Baby Syndrome che ha ucciso il piccolo Mattia» e anche per fare in modo che la triste vicenda di Mattia Pierinelli, per troppo tempo passata in sordina, continui a essere raccontata sia come riscatto che come monito a non sbagliare più.

Negli Stati Uniti 30 bambini ogni 100mila nati l’anno subiscono gravi danni a causa della ‘sindrome da bambino scosso’. In Italia mancano dati ufficiali ma «tutte le strutture ospedaliere più avanzate per la diagnosi precoce del maltrattamento sui bambini ci confermano la necessità di avviare un’ampia azione informativa per la prevenzione». A dirlo è Federica Giannotta, responsabile Advocacy e Programmi Italia di Terre des Hommes, che ha lanciato la prima campagna di sensibilizzazione su questa sindrome, “Non scuoterlo!”, con uno spot tv e un sito informativo dedicato.

La scusante più frequente al comportamento aggressivo degli insegnati è la diseducazione o mala-educazione dei bambini che assumerebbero atteggiamenti ingestibili, emulati anche dai soggetti più remissivi, generando il caos in classe. Sottolineando che bisogna anche tenere presente le condizioni precarie e oggettivamente difficili nelle quali sono costretti a operare i docenti. E la soluzione che avrebbero trovato è aggredire i bambini? Viene da sé che questo ragionamento, portato avanti da chi vuol difendere l’indifendibile, non convince neanche un po’. Se ci sono dei bambini con deficit comportamentali non è aggredendoli che la situazione migliora. Se ci sono carenze strutturali e di organico sul posto di lavoro non è aggredendo i piccoli ospiti della struttura che si migliorano le cose.

Si dice che la violenza è lo strumento preferito di chi non ha a disposizione altri strumenti. E gli insegnanti di strumenti e metodi dovrebbero averne molti altri e differenti. Soprattutto con i bambini piccoli, piccolissimi e in età da asilo nido.

L’ordinamento giuridico italiano pone tra i diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo il pieno sviluppo della persona umana. L’articolo 13 della Costituzione sancisce che “la libertà personale è inviolabile”. La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’articolo 2 consacra espressamente “il diritto alla vita”. Quando si parla di persona o di uomo bisogna leggere ogni cittadino di qualunque sesso o età anagrafica. Maltrattare verbalmente, psicologicamente e/o fisicamente un bambino è una grave violazione della sua libertà, della sua persona e dei suoi diritti umani.

Nel pieno di un dibattito pubblico e mediatico sulla sicurezza dei bambini dietro le porte chiuse delle aule, la segreteria nazionale della Federazione Italiana Scuole Materne (FISM) diffonde una nota nella quale, pur dichiarando di comprendere le preoccupazioni dei genitori, ritiene che «la richiesta di introdurre negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia sistemi di videosorveglianza allo scopo di prevenire comportamenti di violenza e maltrattamenti sui bambini da un lato non risolverebbe la preoccupazione, dall’altro darebbe origine ad altre questioni di non poco conto».  La telecamera «disincentiva, quando non sostituisce, il dialogo, l’ascolto, la relazione indispensabili tra scuola e famiglia». Non sarebbe quindi necessario l’uso di questo strumento per ‘controllare’ «come gli insegnanti impostano e realizzano il lavoro educativo». Molto meglio sarebbe, a parer loro, il confronto, il dialogo, la parola… I genitori «devono essere aiutati a imparare a partecipare alla vita della scuola», perché «devono essere aiutati a imparare a ‘vedere’, leggere, capire, direttamente nei/dai loro figli la presenza di eventuali problemi e non guardare la loro esperienza di vita scolastica attraverso una telecamera».

Il punto è che proprio attraverso la ‘lettura’ del comportamento dei propri figli i tanti genitori che hanno denunciato si sono accorti di quanto in realtà accadeva a scuola. Dopo che era accaduto. Invece di insistere tanto sul voler aiutare i genitori a ‘vedere’ i segnali di pericolo perché non si tenta di studiare un modo per prevenire i danni? Si può anche convenire che l’uso delle telecamere non sia la migliore delle soluzioni ma almeno si focalizzi sulla prevenzione, perché un bimbo maltrattato non è un danno collaterale ma il nocciolo della questione.

Una posizione che ricalca quella del garante della privacy espressosi in merito alla legge 2574 (Prevenzione abusi in asili e case di cura) ma che, forse, la minimizza troppo. Per Antonello Soro infatti non bisogna «inseguire le scorciatoie tecnologiche come esclusiva risposta ai problemi complessi» ma è importante sottolineare come «anche uno solo di questi episodi costituisce motivo di apprensione e di grave allarme sociale». Dovrebbe. Invece si rabbrividisce a leggere la voce pressoché univoca di coloro che operano a vario titolo nel comparto scolastico e che, pressoché all’unisono, definiscono il sistema scolastico nazionale un ambiente “sano” e un’istituzione che funziona “bene”, certo l’esistenza di mele marce, anche alla luce dei processi e delle sentenze giudiziarie, non può essere negata ma di casi isolati vogliono si tratti.

La realtà e l’onestà intellettuale invece vorrebbero che a fronte di maltrattamenti visti, sentiti e taciuti ognuno di questi operatori si passasse una mano sulla coscienza. Perché l’omertà difronte a un reato, anche laddove non è punibile legalmente, lo è per certo moralmente.

«La tecnica non potrà mai sostituire “l’uomo”, nessuna telecamera potrà mai sopperire a carenze insite nella scelta e nella formazione del personale deputato all’educazione e all’assistenza di soggetti particolarmente vulnerabili». Necessario quindi seguire le indicazioni del «disegno di legge approvato» volte a «introdurre sistemi di controlli più articolati ed efficaci che coinvolgano attivamente il personale tutto e, se del caso, le famiglie stesse».

Nel ddl 2574 infatti si parla di accurati metodi di valutazione dei requisiti all’atto dell’assunzione e di successivi e continuati processi formativi e di aggiornamento. Sostegno e ricollocamento per chi risulta non idoneo. Persiste il solito intoppo che dalle modifiche apportate «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» che stride notevolmente quando si parla di strutture pubbliche, statali o comunali. Nel testo ci si sofferma poi sull’utilizzo e sui modi di impiego delle telecamere di sorveglianza e sugli oneri finanziari, null’altro su requisiti, formazione e aggiornamento degli operatori.

Il quadro che emerge dall’osservazione di questo grave allarme sociale dipinge i tratti a tinte forti di una formazione (quella degli operatori) che cerca di fare il più possibile quadrato per difendere la categoria e anche il posto di lavoro, che si indispone e assume un atteggiamento ostile per ogni critica o accusa, continuando ad accumulare in questo modo rabbia e frustrazione. Per contro c’è la ressa dei genitori, intimoriti e spaventati, impossibilitati a ottenere garanzie certe e vessati dalla necessità di affidare i propri figli a queste strutture, diversamente non avrebbero a chi affidarli durante quelle ore. Anche in loro questa situazione genera rabbia e frustrazione. Quasi marginale appare la figura di questi piccoli che sembrano non avere voce e non solo perché per molti di loro è prematuro anche il solo saper parlare.

Lo Stress Lavoro Correlato è «la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste del contenuto, dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro, eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste», secondo la definizione datane dalla European Agency for Safety and Health at Work (EU-OSHA). Le categorie professionali più interessate dallo Stress Lavoro Correlato sono:

  • Medici
  • Infermieri
  • Poliziotti
  • Assistenti Sociali
  • Insegnanti
  • Autotrasportatori

Lasciando da parte un attimo le professioni sanitarie, immaginiamo che dei poliziotti sfoghino tutto l’eccesso di rabbia accumulata e il senso di frustrazione su vittime, a caso, inermi. Tipo quanto accaduto alla scuola Diaz dopo il G8 di Genova. Oppure che un autotrasportatore dia di matto e sfoghi tutto lo stress accumulato verso ignari automobilisti che, per caso, lo incontrano lungo le strade percorse. Anche i bambini che subiscono maltrattamenti sono vittime casuali. Visionando gli spezzoni di video delle riprese delle camere posizionate dalle forze dell’ordine si può osservare che si tratta, semplicemente, di bambini, con i loro atteggiamenti e le loro peculiarità. Niente di più e niente di meno.

Il voler cercare a tutti i costi di ridimensionare quanto sta accadendo, considerando gli eventi come esempi isolati e non come un grave allarme sociale rischia di ingigantire il problema piuttosto che arginarlo. Poi succede che i genitori, esasperati, cercano di farsi giustizia da soli, cercano la vendetta e per trovarla usano a loro volta la violenza.

Ilaria Maggi de La via dei colori, lei stessa genitore di un bambino maltrattato a scuola, lancia un accorato appello affinché episodi del genere non si verifichino più: «non solo corriamo il rischio di inficiare il processo, che è la giusta sede per punire i maltrattamenti, ma incorriamo nel grave errore di non dare il buon esempio. I nostri bambini hanno già conosciuto la violenza e meritano da noi un esempio diverso». Eguali parole sarebbe stato utile ascoltare o leggere da tutti quegli operatori che si ritengono la parte buona del ben funzionante sistema scolastico nazionale e sarebbe stata già una ottima base di partenza per contrastare il fenomeno. Il persistente tentativo diffuso di minimizzare, di negare, di distrarre oltre a confermare una carenza o una mancanza addirittura di professionalità, non fa altro che alimentare il fuoco della rabbia e della frustrazione, di entrambe le posizioni.


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