Giornalismo autorevole, fare un patto con i lettori e spiegare cosa sono le fake news nelle scuole

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Ho la massima stima della Polizia Postale, per diretta esperienza. Quando dirigevo le Teche della Rai ho avuto varie occasioni di collaborazione con loro veramente positive, sono i migliori d’Italia per rintracciare hakers, abusi, delitti e tutto ciò che di malaffare circola in rete. E’ importante che il ministero dell’interno abbia dato un segnale forte di comprensione e non sottovalutazione del fenomeno, e poco importa che questo avvenga in occasione della campagna elettorale, va comunque bene.

Si capisce anche che la stessa Facebook voglia cercare di intervenire sulle bufale che i suoi utenti rilanciano a tonnellate sui social, perché quando si supera il limite il problema può diventare anche di bilanciamento fra costi e ricavi (dubito che i colossi del digitale conoscono altri linguaggi se non quello dei loro interesse!).

Ma queste iniziative non rispondono, e non possono rispondere, al principale interrogativo: chi può certificare che una notizia è una “bufala” o è basata su fatti e eventi verificati? E’ il governo che deve e vuole farlo? Ma questo, come scrive Natale, è una scelta del tutto impropria a maggior ragione per quanto riguarda la politica e le campagne elettorali. Ma non mi convince neppure il richiamo che anche gli organismi dei giornalisti fanno all’Agcom, anche se è comprensibile che sarebbe l’ente più adatto da un punto di vista istituzionale. Guardate che è la stessa Agcom che vuole che i giornalisti e i moderatori dei dibattiti televisivi dichiarino come votano, che idee politiche hanno e rispettino, per bilanciamento fra tutti i conduttori, presenze sempre uguali, come due squadre di 2, di 4, di 6 ma rigorosamente schierate, ovviamente con rispetto anche delle presenze per genere!

Ma pensiamo davvero che una situazione con ogni probabilità ormai destinata solo a peggiorare si possa risolvere con una super regolamentazione che tende a catalogare tutto, dagli attori a chi fa satira, ai giornalisti, cercando di dividerne le presenze e facendo dichiarare per chi votano!

Bisogna tornare al buon senso, alla qualità della nostra professione, alla saggezza dell’esperienza. Non siamo noi giornalisti a dover decidere chi è l’ente certificatore, no. Siamo noi giornalisti a dover cercare un patto con il lettore, spettatore, utente sulla base della nostra credibilità e della nostra autorevolezza. Con una istituzione sì che dobbiamo formare una task force, ma è con il mondo dell’istruzione. Una sola speranza abbiamo: insegnare ai più giovani a capire che se uno di cui neppure sei certo dell’identità pubblica una foto ritoccata e ne fa un manifesto politico devi diffidare e devi cercare le conferme sui giornali veri, dai giornalisti bravi, da un tuo database di fonti credibili. I giornalisti dovranno andare nelle scuole a spiegare, a formare i ragazzi, a insegnare una materia nuova che sarà davvero, in questo caso, una scienza della buona comunicazione.

Un antidoto alle Fake News è la professionalità e l’onestà di chi fa informazione: se una fonte, per autorevole, o potente che essa sia, cita dati di fatto falsi, le sue affermazioni vanno riportate, ma immediatamente messe a confronto con i dati esatti (riferendone la fonte). Doppio l’impatto: lo sbugiardamento oggettivo dell’untore di Fake News ed il ripristino della correttezza dei dati di riferimento.

I fact cheking di questi primi giorni di campagna elettorale sono una prima buona risposta. E credo anche io che sia l’ultima vera change per il giornalismo, in particolare italiano, di tornare ad essere forte, e avere una parte importante nella formazione della coscienza di un popolo. A Roberto Natale dico: se gli editori non avranno voglia di cogliere questa occasione, dovranno coglierla i professionisti della comunicazione e tutti insieme tirare su la testa e rimboccarsi le maniche per fare meglio il loro lavoro e per andarlo a raccontare ancora meglio non solo in TV o sul web, ma nelle aule di scuola, nei piccoli circolo culturali di paese, nelle grandi aule universitarie e così via. E mandarli a vedere quei grandi film di impatto sull’argomento, da “tutti gli uomini del presidente al “Caso Spotlight” fino al “The Post” di Spielberg (accidenti! Tutti americani). Il patto con il lettore passa di lì, dobbiamo costruire lettori consapevoli e da loro soltanto farci giudicare e certificare.


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