Corbyn ha dimostrato che c’è spazio nel ventunesimo secolo per uomini di sinistra che non hanno paura di esserlo

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Corbyn il rosso, il socialista, il sognatore, l’ingenuo, un leader anacronistico, incapace, un utile idiota della destra. Di quest’uomo negli ultimi due anni è stato detto e scritto di tutto e sempre in negativo. Giornali e televisioni hanno costantemente parlato male di lui. Ancora ieri il Sun, tabloid diffusissimo di proprietà di Murdoch, lo dipingeva senza mezzi termini e senza pudore come spazzatura. Ancora ieri i nostri corrispondenti e inviati in Gran Bretagna ne parlavano con sufficienza: uno che aveva fatto sì una campagna elettorale brillante, come una sorta i fenomeno da baraccone, ma che era inesorabilmente destinato a essere ben presto ricacciato nelle retrovie della grande storia dopo la ( per loro) scontata e sicura conquista da parte della May di un’ampia maggioranza assoluta. Sui media italiani e Corbyn sarebbe in verità meglio stendere una pietoso velo di silenzio. Non l’hanno mai capito per pregiudizio e per scarsa conoscenza i ciò di cui stavano parlando. La notte delle elezioni sulle nostre tv lo sconcerto dei commentatori ( con le debite eccezioni dei più onesti) era plastico. Parlavano di lui come di qualcosa di anacronistico senza accorgersi che gli “obsoleti” erano loro, con categorie mentali completamente sganciate dalla realtà.

Ma pure in Gran Bretagna i media non hanno scherzato. Corbyn ha vinto due primarie del partito laburista a un anno di distanza una dall’altra avendo sempre contro la stampa liberal, progressista. Non piaceva ai giornalisti. Piaceva però ai giovani, ai militanti, agli elettori. E anche se il Guardian scriveva pagine su pagine sulla sua inadeguatezza, lui è andato avanti. Il problema è che esiste ormai un mondo giornalistico auto referenziale, di persone che parlano fra loro, che si sentono “esperte” e come tali interpretano la realtà invece di viverla, di frequentare la gente comune. E’ accaduto con fenomeni come Trump e gli operai del Michigan e i minatori dell’Ohio, si è ripetuto anche con Corbyn su un versante politico diametralmente opposto. Già perché Corbyn ha fatto della lotta alla disuguaglianza e della difesa ( anzi del ripristino) dello stato sociale il suo intransigente cavallo di battaglia. #Forthemanynotthefew il suo slogan rilanciato sui social. Ha fatto breccia perché è apparso sincero, determinato, credibile. Ora i soliti “sapientoni” più o meno liberal, quelli che pensano che il mondo debba essere governato da banche e tecnocrati, lo accusano di essere populista. No, è semplicemente popolare. E forse a questo punto va richiamato il dato vero di queste elezioni: in soli due anni Corbyn ha portato il suo partito dal 30 al 40 per cento dei voti, una quota mai vista dai laburisti da decenni. E che anni sono stati? Dal 2015 a oggi in Gran Bretagna è successo di tutto, basti pensare al cataclisma rappresentato nel 2016 dal referendum sulla Brexit. Ma come ha fatto Corbyn a ribaltare ogni pronostico partendo dai meno venti punti di inizio campagna elettorale? A ottenere 13 milioni di voti? Lo ha fatto avendo le idee chiare, dimostrando una fermezza, un impegno e una determinazione straordinarie. Vi ricordate i nostri politici che seguono le agende degli intervistatori? Corbyn non lo fa assolutamente mai. E’ gentile, non tratta male nessuno, ma porta avanti il suo di punto di vista. E quando dice (e muove le dita indicando le orecchie) che un leader politico deve sapere ascoltare prima di parlare sembra sincero semplicemente perché è sincero.

Cosa accadrà adesso è presto per dirlo. Il compito dei giornalisti è dire cosa è accaduto e leggerne le ragioni. Corbyn ha dimostrato che c’è spazio nel ventunesimo secolo per uomini di sinistra che non hanno paura di esserlo. Ma devono avere pure una forte personalità, cultura, spessore, una sintonia col modo di pensare e vivere degli “ultimi”. E non avere paura di citare ( lo ha fatto Corbyn ma con una citazione che è densa di significato) una poesia di Shelley (“Levatevi come leoni…Voi siete molti, essi sono pochi”) in un comizio l’ultimo giorno di una durissima campagna elettorale. Esistono uomini di questo spessore e livello in Italia? E’ questa la domanda. Politici da talk show anche se parlano di lotta alle disuguaglianze restano soltanto delle misere marionette televisive. Ci vuole altro per dare corpo alla speranza di chi ha sofferto tagli, disoccupazione, privazioni e che vuole riconoscersi in un progetto vero e non di sola facciata o cartapesta.


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