80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Con De Luca siamo al culmine del linguaggio dell’odio. Il Partito Democratico lo espella

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Il PD chiede al governatore della Campania di scusarsi per aver detto di Rosi Bindi, presidente della commissione antimafia, “è da ucciderla”. E’ veramente troppo poco. A un politico del genere il suo partito deve chiedere le dimissioni immediate. Le parole di De Luca rappresentano il punto più grave del linguaggio dell’odio che infanga da anni la politica non solo italiana e che anche noi giornalisti abbiamo troppo poco contrastato e combattuto. Le parole. Hanno un peso enorme e devastante e fanno parte del degrado diffuso nella politica in tutto il mondo – l’elezione di Trump insegna – al quale non è mai estraneo un elemento sessista, misogino e retrogrado nel senso più letterale della parola. Non può essere un caso l’accanimento insopportabile e vergognoso che in Italia si è manifestato negli ultimi anni nei confronti di due donne presidenti, Rosi Bindi e Laura Boldrini. La vera colpa di Rosi Bindi, che De Luca in effetti gli imputa, è l’integrità, la tenacia della sua lotta alle mafie, la coerenza dei suoi comportamenti, l’inattaccabilità del suo operato. De Luca questo non può sopportarlo. E le sue parole, come ha detto Luigi Ciotti, sono il massimo dell’incompatibilità con l’etica pubblica. Quando si arriva a questo punto, in verità, è lecito pensare che siamo di fronte ad avvertimenti di tipo mafioso, ad un linguaggio da malavitosi che ci si aspetta di sentir pronunciare dai boss dei clan e non da chi dovrebbe rappresentare esattamente l’opposto. Un partito degno del nome che porta – democratico – dovrebbe espellere un suo rappresentante che con i principi della democrazia dimostra di non avere niente a che vedere. Perché la democrazia è civiltà, è rispetto per le opinioni di tutti, è convivenza e solidarietà. Ed è correttezza. Oggi si dice che il politicamente corretto non è più di moda perché basato sull’ipocrisia, ma se l’alternativa è questa dobbiamo essere noi operatori della comunicazione i primi a ripensarci. E a impegnarci in una battaglia forte e trasparente contro le parole di odio, senza timidezze e senza incertezze.


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