No al giornalismo delle urla sguaiate e dei discorsi d’odio

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Il terrorismo sui media. I giornalisti possono raccontarlo o, per paradosso, farlo se assumono come propri i linguaggi della discriminazione, del razzismo, della violenza. Discutere della qualità dell’informazione, oltre il recinto degli addetti ai lavori, non è esercitarsi nell’accademia, ma soffermarsi su uno snodo cruciale per la convivenza civile e democratica. Centrale, quindi, è portare la riflessione sui modi di esercitare il dovere di cronaca, ovunque utile e possibile. Anche nelle scuole, come accade a Rovigo dove studenti e insegnanti degli istituti tecnici agrario e industriale si confronteranno, nella mattinata di lunedì 1 febbraio, con il giornalista francese Gael De Santis, caporedattore Esteri del quotidiano nazionale L’Humanité, e i colleghi dell’Associazione polesana di stampa, che hanno organizzato l’incontro.
I fatti del 13 novembre scorso a Parigi richiamano una volta di più i giornalisti alla responsabilità, all’urgenza di marcare con chiarezza che le urla sguaiate e i discorsi d’odio non sono parenti, nemmeno lontani, di un racconto veritiero nella sostanza e incisivo nella forma.
Quegli stessi gravissimi episodi, per esempio, paiono essere stati descritti dalle testate d’Oltralpe, rispetto a quelle italiane, con misura e sobrietà maggiori, anche nelle ore concitate in cui si stavano consumando. Prime pagine e titoli alla mano, dunque, si dibatterà con ragazze e ragazzi sul bene comune informazione, tenendo sempre ben presente che i giornalisti hanno il dovere di rendere semplici e comprensibili per tutti gli accadimenti più complessi, districando le matasse più aggrovigliate alla luce delle notizie, che non possono essere lette attraverso le lenti distorcenti del pregiudizio.


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