Paolo, la Siria, la pace. Riemerge un’intervista del 2013 a padre Dall’Oglio

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Tratto dal sito “Giornalisti amici di padre Dall’Oglio

13 dicembre 2015: appare per la prima volta sul sito di ANA PRESS, una radio libera siriana, il video di una intervista rilasciata da padre Paolo Dall’Oglio. La posta un noto e attivissimo collega siriano, Rami Jarrah, dicendo che è stata rilasciata poco prima del suo arrivo a Raqqa. È un recupero importantissimo perché dimostra l’attualità e la forza della visione di Paolo, la sua certezza che è solo nel vivere insieme, nella cittadinanza,  che i siriani di ogni provenienza e appartenenza troveranno il loro futuro.

Padre Paolo parla in arabo e per questo abbiamo deciso di pubblicare qui una sintesi delle sue parole.

“Cari amici siriani, se ciascuno di noi chiude la sua mente e crede che le cose andranno come vuole lui, resterà deluso: procedendo in questo modo le cose andrebbero come vuole il diavolo, noi tutti perderemmo il Paese e ciascuno di noi perderebbe l’altro.  Cari miei, pensiamo invece a cosa fare per mettere il paese sulla strada della comprensione, della convivenza, della fratellanza, della democrazia matura e della fine del regime tirannico.

A chi è con il regime dico: perché rimanete attaccati a una cosa già morta e sepolta, uniamoci per costruire insieme la Siria. Avete paura dell’estremista islamico? Certo, molti  lo temono; ma l’estremista islamico è un cittadino come te, non è un diavolo, lui è un siriano che ha delle aspirazioni e capisce le questioni in un certo modo; se riuscissimo a pensare in modo razionale non escludendo gli altri  potremmo immaginare  di costruire un paese dove regna la convivenza, la comprensione, la fratellanza, la solidarietà, e la diversità, accordandoci per una costituzione adatta a una Siria plurale.

L’unità nazionale che abbiamo avuto era imposta dall’alto, dal partito Baath, come nello stato napoleonico. Questo è il passato, che non funziona più: ora vogliamo un’unità  che parta dal basso, dalla volontà dei cittadini, e quindi foriera di  buoni rapporti con tutti i nostri vicini: i turcomanni porteranno rapporti privilegiati  con la Turchia, i curdi con i loro fratelli di  Sulaymaniyya ed Irbil, oltre a quelli turchi e iraniani, i drusi porteranno buoni rapporti con gli altri drusi della regione, gli sciiti ci porteranno relazioni privilegiate con gli sciiti del sud del Libano, dell’ Iraq e dell’Iran. Perché no? Ognuno di noi ha la sua appartenenza, io sono cattolico e appartengo a Roma, che problema c’è in questo? E se l’altro è cristiano ortodosso avrà  e porterà rapporti privilegiati con Istanbul, la Grecia e la Russia.

Dobbiamo mettere tutte queste appartenenze in un quadro di comprensione umana caratterizzata dalla  religiosità.  Alcuni di noi dicono che “la religione è di Dio e la patria è di tutti (slogan coniato da Fares al-Khoury, primo ministro siriano cristiano, dopo l’indipendenza dal protettorato francese ndr)”. Alcuni  non amano questo detto e vogliono mettere la patria e Dio da parte, perché portano problemi: pensano che la patria non può appartenere a tutti se non lasciamo Dio fuori dalla porta. Io non rifiuto questo detto che piace a tanti siriani, cristiani e musulmani, ma voglio un paese plurale e armonioso, dove regni la religiosità, cioè dove le persone si amano perché essere umani, creature di Dio, e quindi con diritti e dignità  e il meritato rispetto.  Religiosità significa guardarsi come Dio guarda le sue creature. Torno così all’ottimismo e alla voglia di costruire la Siria come la desideriamo: se la vogliamo parlamentare o presidenziale o federale, o la vogliamo unita come era prima o con più autonomie regionali… bene, la costruiremmo come vorremo!”


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