Anche i cristiani nel mirino dei fondamentalisti, ma il rischio è una guerra senza fine

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Il Medio Oriente si sta trasformando in un mondo di profughi: centinaia di migliaia di persone, famiglie, intere popolazioni di città, regioni, aree geografiche, sono in fuga; lasciano tutto in preda a una disperazione e a una paura dilaganti, mentre i bambini muoiono a decine in questa nuova pagina di orrore che si sta scrivendo nella storia contemporanea. Ora sono i cristiani che stanno patendo la furia degli estremisti dell’Isis (lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante) in Iraq. Il patriarca cattolico di Baghdad, monsignor Louis Sako, un religioso attento al dialogo e alle ragioni complesse di una crisi senza fine, ha parlato di “genocidio” in corso e ha chiesto l’intervento della comunità internazionale. Almeno 100mila cristiani sono in fuga, stanno tentando di raggiungere il Kurdistan. Ma nelle stesse ore ad essere vittima dei fondamentalisti è stata la minoranza Yazidi, anch’essa – come quella cristiana – costretta a lasciare drammaticamente la piana di Ninive tra violenze inaudite.

E’ dunque alla luce di questa escalation che la Casa Bianca ha dato il via libera a raid aerei contro l’Isis, “ma non sarà una nuova guerra” ha voluto precisare il presidente Obama. Tuttavia se le parole del presidente si riferivano soprattutto al ruolo degli Stati Uniti, e cioè alla necessità di un intervento limitato e dal cielo, la guerra è in corso già da tempo in tutta la regione. Ma è stata la grande paura del Califfato a far decidere l’intervento americano, così come l’emergere di una questione ‘cristiana’ in Iraq nel frangente di un conflitto che in realtà da molti mesi sta lasciando sul terreno migliaia di morti. Se un tempo era la dittatura di Saddam Hussein a garantire la sopravvivenza delle comunità cristiane (si ricordi il ministro degli Esteri del regime, il cristiano Tarek Aziz), da molti anni quello schema è saltato senza essere stato sostituito da un modello alternativo; da una parte la componente vicina a Teheran (l’attuale premier Al Maliki) ha cercato di stabilire il proprio dominio sul Paese, dall’altra la componente sunnita non ha voluto accettare di essere cancellata dalla scena mediorientale.

D’altro canto la questione della presenza cristiana in Medio Oriente è un nodo critico che si trascina ormai da tempo, ma per comprenderla pienamente va inserita nel tema più ampio delle minoranze e dei conflitti che attraversano la regione. Il problema irrisolto della convivenza fra più etnie e religioni è all’origine dell’attuale disastro, allo stesso tempo la motivazione religiosa o del conflitto interreligioso, viene spesso usata – a turno da tutti i principali attori della scena mediorientale – come strumento per scatenare la violenza e aprire le porte a possibili rovesciamenti di potere. Così la contrapposizione sciiti-sunniti annulla ogni sfumatura fra due componenti sociali, religiose e culturali assai più articolate al loro interno di questa rozza semplificazione, per diventare conflitto globale del Medio Oriente. I cristiani, nel frattempo, fra i più antichi abitanti dell’area, vengono trattati, grottescamente, alla stregua di ‘infedeli’ da questo o quel gruppo fondamentalista. I regimi militari, da parte loro, lungi dal garantire uguaglianza di diritti, estendono la loro protezione alle varie minoranze o attraverso la paura o come moneta di scambio per ottenere in cambio appoggio politico. Ma quello che sta accadendo ora, certo, non ha precedenti.

La situazione sta precipitando, in buona sostanza, perché la crisi umanitaria della Siria – un disastro che ha portato a circa 8 milioni di sfollati e profughi interni ed esterni al Paese, a 200mila morti senza contare feriti, prigionieri, distruzioni di ogni sorta – si sta saldando con gli altri conflitti in corso. In merito all’estensione del cosiddetto Califfato islamico, il nunzio apostolico a Damasco, personalità diplomatica che ha mantenuto una posizione di grande equilibrio e giudizio in questi anni non facili, ha detto alla Radio Vaticana: “Come altre volte ho ricordato, durante il primo anno di questa rivolta non si vedevano particolari problemi. I problemi sono arrivati l’anno seguente ed il terzo anno, con la venuta di elementi estremisti ultraradicali provenienti da fuori. Se si estendesse – speriamo di no – questo movimento dello Stato islamico, allora la situazione diverrà certamente molto seria, molto critica sia per i cristiani sia per gli altri perché stanno facendo saltare in aria anche alcune moschee. Questo conflitto è andato evolvendosi in una maniera impensabile; non si sa ancora come si evolverà: sta appiccando il fuoco in Libano, in Iraq”.

E in effetti anche il Libano ormai sembra ‘contaminato’ dal dilagare della guerra. Perché ormai quello mediorientale ha assunto i connotati di un conflitto generalizzato. In tale situazione le distruzioni prodotte a Gaza dal governo Netanyahu e dall’esercito israeliano sono stati solo l’ultimo capitolo di un caos in cui milizie jihadiste sanguinarie, gruppi fondamentalisti di ogni risma – come pure Hamas e Hezbollah – governanti spietati, da Netanyahu a Assad, stanno giocando una partita furibonda. L’Iran, in questo quadro, prova a giocare la carte di agente stabilizzatore nonostante il suo resti un regime a sfondo ultrareligioso e reazionario come dimostrano le centinaia di condanne a morte eseguite dall’inizio dell’anno.

Così, nel furore ideologico delle varie pulizie etniche, anche i cristiani sono finiti nel tritacarne di questo scenario oggi privo di speranza in cui l’amministrazione americana torna a parlare di un possibile intervento aereo per fermare l’Isis. Sul fronte opposto la monarchia saudita tenta di resistere per conservare il proprio potere autocratico; ma di certo una realtà oggi appare in tutta la sua evidenza: non un solo dei soggetti che alimentano i conflitti in coro – i vari regimi militari, i gruppi fondamentalisti, il governo israeliano – è in grado di produrre altro che scenari di morte o di pacificazione fondata sulla violazione totale e su larghissima scala dei più elementari diritti umani.

In un simile disastro, risuonano disperate le parole del papa, riportate dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. “Sua Santità – ha spiegato Lombardi – rivolge il suo pressante appello alla comunità Internazionale, affinché, attivandosi per porre fine al dramma umanitario in atto, ci si adoperi per proteggere quanti sono interessati o minacciati dalla violenza e per assicurare gli aiuti necessari, soprattutto quelli più urgenti, a così tanti sfollati, la cui sorte dipende dalla solidarietà altrui”.

Il dramma umanitario ha la precedenza su tutto, anche perché le conseguenze di quanto sta avvenendo non tarderanno a farsi sentire in questa parte del mondo, e non solo sotto forma di imbarcazioni cariche di disperati al largo di Lampedusa. Di certo l’inerzia dell’Occidente – politica, economica, militare, umanitaria – sembra in queste ore raggiungere il culmine mentre la crisi si sta avvolgendo su sé stessa. Difficile dire se, in prospettiva, la guerra in corso produrrà nuovi equilibri regionali e mondiali. Quel che è certo è che le popolazioni del Medio Oriente appartenenti a qualsiasi gruppo – sunniti, sciiti, cristiani, curdi, yazidi e via dicendo – stanno pagando un prezzo di sangue insopportabile, mentre vedono sparire ogni ipotesi di convivenza, di pari cittadinanza e pari diritti. Pochi giorni fa il Papa, rievocando l’anniversario dei cento anni della prima guerra mondiale, ha chiesto che, memori di quella catastrofe, i governi del mondo intervengano per evitare che la tragedia, “l’inutile strage”, torni a ripetersi, il suo pensiero andava a Gaza, al Medio Oriente e all’Ucraina. E tuttavia sia l’Europa che gli Stati Uniti, paiono oggi privi di parola di fronte ai fatti, gravissimi, in corso.


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