Settimo anniversario morte Aldrovandi, oggi simbolo di verità e giustizia

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“L’ippodromo non sarà più il luogo del silenzio. Sarà il luogo di una festa, di un concerto a cui parteciperanno tanti giovani come Federico. Il suo nome oggi è diventato un simbolo di giustizia e non è più solo quello di un ragazzo ucciso da quattro agenti”.  Sono giorni  frenetici  e di forti emozioni per Patrizia Moretti. Il settimo anniversario della morte del figlio di 18 anni si celebra quest’anno non solo nel segno del ricordo, ma soprattutto di una battaglia che guarda al futuro, al rispetto dei diritti più elementari di un vivere civile spesso calpestato. “Federico rivive” in quello che Patrizia, il padre Lino, gli amici e altre donne e familiari di soprusi compiuti da rappresentanti dello Stato stanno facendo in  questi mesi e che va oltre la richiesta elementare di verità e giustizia per i propri cari che non ci sono più. Per questo da pochi giorni è nata l’associazione intitolata a Federico Aldrovandi e la sua prima iniziativa è il concerto che si terrà sabato prossimo  dalle 16 fino a mezzanotte all’Ippodromo di Ferrara,  oltre quel cancello che sembrava invalicabile e che invece è stato aperto, dove il cuore di Federico all’alba del 25 settembre del 2005 cessò di battere, schiacciato dalle ginocchia pesanti di quattro uomini in divisa, tre uomini e una donna.

Nel giugno di quest’anno i responsabili della morte  sono stati condannati in via definitiva per eccesso in omicidio colposo, tre anni e sei mesi, una pena simbolica, ma importante, che li ha resi colpevoli  e non più “presunti assassini”. Ora la giustizia della legge deve salire un ultimo e fondamentale gradino: l’applicazione della pena. Tutti coloro che hanno condotto una battaglia che sembrava impossibile attendono con pazienza come sempre che il tribunale di sorveglianza decida. Allo stesso tempo il quadro giudiziario sarà completato quando saranno noti  gli esiti dell’inchiesta interna promossa dal ministero dell’interno. Un appello firmato da migliaia di persone nei giorni successivi la condanna definitiva ha chiesto il licenziamento dei quattro pregiudicati come  “indegni rappresentanti dello stato”.

Il capo della polizia Antonio  Manganelli in una lettera scritta a Patrizia Moretti ha promesso tempi brevi, l’estate è passata e il momento delle decisioni dovrebbe essere alle porte se gli impegni presi hanno un valore. Novità potrebbero arrivare  dall’imminente incontro tra la mamma di Federico e il ministro Anna Maria Cancellieri. Stessa storia ma  altri processi perché intanto Patrizia in questi anni  si è guadagnata anche lo status di imputata e sta per essere processata per diffamazione,  querelata dal primo magistrato che “indagò” sulla morte di Federico, Maria Emanuela Guerra.  La prima udienza si terrà a Mantova, sospensione da terremoto permettendo, nel 2013. Secondo la querela  la diffamazione consiste nel fatto di aver rilasciato interviste, a giudizio anche tre giornalisti, che accusano il  magistrato di non aver fatto indagini e di essere stata sul punto di archiviare l’inchiesta.

Leggere le motivazioni delle sentenze di condanna di primo e secondo grado  per avere un’accurata descrizione super partes dei fatti.  Alcuni giorni fa il tribunale di Milano ha rinviato a  giudizio quattro agenti per la morte di Michele Ferrulli,  51 anni. Le modalità e le cause di questo decesso sono molto simili a quelle  che costarono la vita a Federico:  corpo a terra in posizione prona, braccia ammanettate dietro alla schiena, ginocchia sul dorso. Il gup ha modificato aggravandolo il capo di imputazione, da omicidio colposo a omicidio preterintenzionale. Questo succede quando le indagini partono immediatamente e non dopo a tre o quattro mesi dai fatti , quando i testimoni non si chiudono in casa, quando l’opinione pubblica è più attenta e avvisata e  quando “precedenti ormai famosi” sconsigliano a “bravi giornalisti” la copiatura acritica delle veline di palazzo che anche in questo caso parlavano di “pregiudicato ubriaco morto per malore mentre  gli agenti tentavano inutilmente di calmarlo”.

“Il nome di Federico e il terribile sacrificio che esso rappresenta,  scrive Patrizia, nell’atto costitutivo dell’associazione che del figlio porta il nome,  hanno oggi un enorme potenziale di civile denuncia e di solidale impegno per un mondo migliore. Coloro che pensano che Federico Aldrovandi sia morto per sempre si ricrederanno.  Pronunciare questo nome vuol dire sopruso, sopraffazione, violenza, ma anche solidarietà e giustizia”.


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