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Verso il 25 aprile: stop al genocidio. Morgantini e Albanese alla Sapienza con gli studenti

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I ricordi riaffiorano mentre mi incammino verso la Facoltà di Lettere de La Sapienza. La mia Facoltà. Il bar all’ingresso di Piazzale Aldo Moro. Il tunnel che non si doveva percorrere nel giorno dell’esame. E poi quella Minerva: anche lei, vietato guardarla per evitare una bocciatura certa o un brutto voto.

Non la guardo neanche oggi la dea della guerra che è lì dal 1935 e che un recente restauro ha riportato al suo antico splendore. Lei con quello scudo, le braccia in alto che invita alla conquista del sapere e quella scritta di arte contemporanea aggiunta di recente: “Ci vogliamo Vive”.

Non è tempo per indugiare su questa divinità. Oggi si parla di pace nell’Ateneo più grande d’Europa. In quelle aule che hanno visto passare Giuseppe Ungaretti, Natalino Sapegno, Alberto Asor Rosa, Tullio De Mauro, Paolo Mieli, Luca Serianni…

Sono passati 21 anni dall’ultima volta che ho salito quelle scale. È tutto lì, come allora: il gabbiotto sulla destra, gli annunci in bacheca, le rivendicazioni, Archeologia al piano inferiore e l’AULA 1 lì di fronte l’ingresso, con (ora) davanti un enorme articolo 3 inciso su una lastra di marmo a ricordare che siamo tutti uguali.

L’appuntamento di oggi è con Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i territori palestinesi occupati, e Luisa Morgantini, fondatrice presidente di Assopace Palestina, invitate a parlare grazie a diverse realtà promotrici e aderenti: Cgil Roma e Lazio, Cgil Fillea Roma e Lazio, A Sud, Sinistra Universitaria Sapienza, Assopace Palestina, Round Robin, Rete della Conoscenza.

Mi siedo esattamente nello stesso posto che scelsi per l’esame di latino scritto. E attendo. L’iniziale appuntamento delle 12 è slittato alle 14 per il ritardo dell’aereo della Albanese che arriva da Tunisi. Il tempo passa e l’Aula Magna si riempie. Molti si siedono per terra o restano in piedi, in alto, pur di esserci. Comincia da qui, dall’esserci, la Resistenza e il cammino verso questo 25 aprile così carico di significati e a cui nessuno dei presenti intende rinunciare.

Sono tantissimi gli studenti presenti. Sembrano i volti che ho incontrato nel mio ieri. Gli stessi occhi. Lo stesso entusiasmo. Quella sensazione di poter davvero cambiare il mondo anche se qualcuno – più di qualcuno – confessa ansia per il futuro. Cominciano proprio gli studenti a fare gli onori di casa: la voce ferma, quella rabbia che si traduce in partecipazione, le parole nette e che non lasciano spazio ai fraintendimenti: “Negli ultimi 18 mesi abbiamo assistito ad un genocidio in diretta – esordisce con forza lo studente Leone Piva -. La Striscia di Gaza è stata rasa al suolo, oltre il 70 per cento dei suoi edifici è stato distrutto, quasi 2 milioni di civili sono stati costretti ad abbandonare le loro case, oltre 200 giornalisti sono stati uccisi mentre svolgevano il loro lavoro, 4 paesi diversi sono stati bombardati, Libano, Siria, Iran, Palestina, l’accordo per il cessate il fuoco è stato violato 266 volte e 51mila persone sono state uccise, le ultime 45 questa notte. Tutto questo sotto i nostri occhi, arrivando ad una normalizzazione inaccettabile. Abbiamo sentito parlare di Palestina, ma sempre male e in modo negativo, siamo stati sommersi da una narrazione strumentale e banalizzante dove chiunque criticava Israele veniva accusato di antisemitismo. Il racconto mainstream ha determinato una polarizzazione del dibattito. È invece importante addentrarsi nelle complessità di quel territorio: 75 anni di occupazione, il ricordo di un altro genocidio tremendo, il diritto alla resistenza di fronte all’occupazione… E di fronte alla complessità non possiamo fare l’errore di perdere il focus della narrazione. Motivo per il quale abbiamo organizzato questo incontro”.

Da questa premessa prende il via il pomeriggio con il successivo intervento della professoressa Laura Guazzone, Docente di Storia contemporanea del mondo arabo e membro del Comitato Sapienza per la Palestina: “I diritti o sono per tutti o per nessuno. Quello a cui stiamo assistendo è il tentativo di eliminazione dei palestinesi che dura da più di un secolo e che è la conseguenza strutturale di un progetto di colonialismo che è diventato colonialismo di insediamento. Quello che vediamo oggi è la continuazione di quel tentativo di annientamento iniziato con maggiore ferocia nella guerra del 1948. Ma ricordiamo che tutto questo ci riguarda perché ciò che sta accadendo li è strettamente legato a ciò che accade a casa nostra. Sono una dei docenti che ha formato il Comitato Sapienza per la Palestina. Noi cerchiamo di ragionare e informare su questo perché ciò che accade qua è causa ed effetto della distruzione del diritto internazionale, dell’abbandono delle strade di soluzione dei conflitti…”.

Un Comitato operativo che lavora assieme alle associazioni della Sapienza ma che è anche in rete con altri Atenei e Istituti sintonizzati su queste tematiche proprio per fare informazione e mobilitazione: per questo, nel mese di maggio, ci saranno diverse iniziative in questa direzione…

Sorridente, con i suoi occhialoni grandi, un foulard e una collana vistosa al collo, Luisa Morgantini, non nuova agli incontri in Sapienza, attivista da sempre, non solo per la Palestina, quando prende la parola, come è solita fare, parla senza metafore di ciò che sta accadendo e accade da decenni: “E’ dagli anni Ottanta che vado in Palestina e devo dire che la violenza dei coloni è cresciuta moltissimo, coloni che non sono semplici coloni ma sono fondamentalisti messianici che pensano che quella terra sia loro per diritto divino e che attaccano violentemente contadini, pastori… Ieri per esempio dove c’è una resistenza non-violenta aiutata anche da nostri volontari sono arrivati i coloni che hanno distrutto greggi e bruciato case: lo fanno ogni giorno. Ormai Israele è un paese malato… Ma la situazione è gravissima anche in Cisgiordania dove si teme che la situazione diventi come quella di Gaza. La Cisgiordania è una prigione a cielo aperto. Ogni villaggio è circondato da gate di ferro, c’e fame. Noi possiamo fermarli? Non lo so! So che dobbiamo restare ribelli e costruttori di pace. Sarebbe semplice se i nostri governi imponessero sanzioni contro Israele e non facessero morire il diritto internazionale sotto le macerie. Ma le nostre democrazie non esistono: dalla caduta del muro di Berlino e dalla guerra del Golfo le nostre democrazie sono andate rotolando. Dal 1991 abbiamo fatto costantemente guerre. La Albanese è un faro: ha dato dignità alle Nazioni Unite con chiarezza e coraggio. Noi dovremmo continuare ad andare avanti. Nei vostri occhi c’è vita, la stessa che vedo negli occhi dei palestinesi. L’occupazione militare deve cessare. I 10mila ostaggi palestinesi devono essere rilasciati come gli ostaggi israeliani. Non possiamo decidere noi per loro, i palestinesi si devono autodeterminare!”.

Quando arriva la Albanese, si alzano tutti in piedi. C’è emozione e gli occhi di tutti si fanno lucidi. Si emoziona anche lei per l’accoglienza, gli applausi e ciò che vede negli occhi dei presenti, più o meno giovani, studenti e professori. È soprattutto per questo che partecipa agli incontri nelle Università e nelle scuole, per quella boccata d’aria che i ragazzi e le ragazze sanno darle. Soprattutto in un periodo complesso come quello che il mondo sta vivendo da quel 7 ottobre.

“Io non sono mio, recita così una poesia che rispecchia perfettamente ciò che penso Io da 16 mesi ho questa sensazione: non sono più mia, non ho tempo di riflettere sul dolore che si accumula, è stato molto pesante questo periodo ma non per gli attacchi a me, questo non mi importa, ma il vedere giorno dopo giorno le vite di bambini straziate. Sono cose vere! E ho paura che la digitalizzazione del nostro modo di vivere ci disumanizzi”.

Quando si ferma, tra una domanda e l’altra, nei suoi occhi si legge l’eco delle sue parole, un’eco di tristezza al quale reagisce con l’entusiasmo e l’energia che la contraddistinguono, ma anche una semplicità nello spiegare anche cosa sia il diritto internazionale.

“Il diritto è una cosa semplice. Il diritto internazionale consiste in regole che gli stati si sono dati per regolare le loro relazioni da diversi punti di vista. Una parte di quel diritto sono i diritti umani. Ma il diritto è tale se è oggettivamente stipulato, e oggettivamente applicato. Certamente ci sono interpretazioni ma una cosa è chiara che non si può opprimere un popolo. Dal 2017 ho capito, grazie al lavoro di chi mi ha preceduto, che l’occupazione compiuta da Israele è illegale. Tutta. Non perché sfolla i palestinesi, non perché gli abbatte le case, non solo perché arresta i bambini, ma è illegale ontologicamente. Una occupazione per essere tale deve servire obiettivi militari, deve essere temporanea, non può tradursi nella soppressione delle libertà fondamentali della popolazione occupata, nella cancellazione dell’identità della popolazione. Tutto quello che Israele invece fa.

L’occupazione israeliana è illegale e deve cessare!

A settembre l’Assemblea generale dell’Onu ha chiesto a Israele di por fine all’occupazione dei Territori palestinesi nel giro di un anno. Di solito si danno sei mesi. Ma l’Assemblea generale è stata generosa e ha dato un anno di tempo. Ecco non si può cooperare e trarre profitto da ciò che produce una attività illegale. Questa illegalità ci obbliga a tagliare i ponti. È, dunque, il tempo di considerare la necessità di interrompere le relazioni con Israele. Sono 57 anni che Israele costruisce colonia dopo colonia. Si parla di due stati per due popoli e non si riconosce uno dei due. Ma quello stato esiste anche se l’Italia non lo riconosce. Bisogna, dunque, interrompere gli accordi di partenariato delle università. La ricerca bellica è pericolosissima! La domanda è: ma se nemmeno 18mila bambino morti vi sconvolgono ma di cosa vogliamo parlare? Ciò che vedo è che le nostre quasi democrazie hanno governanti che si comportano da oligarchi e che ci sono provvedimenti che stanno sfibrando il diritto: questo è molto pericoloso”.

Come si fa allora? Chi sono i guardiani di questo diritto? 

“Sono convinta che ciò che sta facendo la generazione giovane sia liberatorio. Bisogna continuare ad andare in piazza, documentare le magagne anche delle Università. Uno dei problemi che c’e in Italia è la disinformazione. Se la gente sapesse la metà di ciò che so io e la Morgantini saremmo in piazza tutti i giorni. Allora continuate a riunirvi, a protestare perché fa la differenza. Per esempio in Marocco molti portuali, anche i capi, si sono licenziati perché le armi verso Israele passano dal Marocco. Si sta alzando la marea. Bisogna proseguire in questa direzione! È necessario usare la parola genocidio e federare più lotte. Siamo vittime di uno stesso sistema che va dal caporalato alla sanità, dalla violenza di genere alle guerre…”.

Come si esce da questa situazione?

“Agli stati dico che in realtà sarebbe facile risolvere la cosa usando il diritto internazionale.

Israele deve smettere di sfruttare i palestinesi e non li può tenere sotto una dittatura militare.

Bisogna fermare il genocidio. Vi diranno che questo non è genocidio perché non ci sono i campi di concentramento. Perché Israele non li vuole ammazzare tutti. Ma il genocidio non è sterminio. È un processo, non un atto. L’atto ci permette di definire il genocidio. Uccidere, impedire le nascite, infliggere dolore fisico e psichico è un atto criminale. Crimini in sé che diventano genocidio quando sono commessi con l’intento di distruggere un gruppo in quanto tale. Come si definisce il genocidio? Dalla pelle di chi lo subisce. Sono tutti palestinesi. Il 40 per cento della popolazione sopra i 18 anni ormai si occupa di bambini non suoi. E ricordiamo che Hitler all’inizio li voleva solo cacciare li ebrei… Ma saremo giudicati per ciò che sta accadendo. Se la Palestina fosse una scena del crimine avrebbe le impronte digitali di ognuno di noi. Ci sono italiani nell’esercito italiano  Ci sono italiani che hanno comprato terre all’asta in Cisgiordania”.

La pace è possibile?

“La pace tra i popoli non solo è possibile ma è necessaria – conclude sorridendo la Albanese -. Come si esce da qua? A piccoli passi. Mattoncino dopo mattoncino ce la facciamo. Dobbiamo capire dove siamo e come si fa a resistere”.

E di resistenza parla anche la Morgantini…

“I palestinesi resistono solo respirando. Quando mi chiedono se c’è un Gandhi palestinese io dico che Gandhi è ognuno di loro. Resistere, oggi più che mai, è agire e pensare. I nostri giornalisti per lo più fanno disinformazione… Ricordo un giornalista palestinese, che non c’è più, che diceva: Io non so se l’F16 sarà più veloce di me. Forse domani non ci sarò. Ma voi continuate…”.

Gli applausi accompagnano le relatrici all’esterno della Facoltà dove sulla scalinata, tutti insieme, immortaliamo il momento, mentre qualcuno intona “Bella Ciao”…


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