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Sanremo 2025. Quando le parole sono come un treno e la musica diventa una lama

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Sanremo, si o no? Il Festival della musica italiana ha sempre avuto il potere di dividere: prima le generazioni (i giovani non si sentivano identificati prima dell’arrivo dei trapper) e poi le classi culturali. Se sei un professore, un intellettuale, un giornalista, ci si aspetta che tu non guardi Sanremo! Una visione decisamente limitata a cui si oppone a quella di chi s’improvvisa stilista, autore e arrangiatore. Tutto bellissimo ma non troppo.

Va detto che per chi ha fatto della cultura e dei temi sociali il proprio motivo d’esistenza, questo Sanremo è partito sottotono, con tiepidi accenni alle grandi tematiche d’attualità e una “scelta comoda” di dare più spazio alla musica e meno all’anima critica del paese. Una decisione artistica discutibile, ma, ammettiamolo, uguagliare Amadeus non era impresa semplice.

Passando ai testi, agli artisti, agli ospiti, in generale si nota una sobrietà stilistica che porta eleganza su un palco tanto osservato. Alcuni concorrenti sono quasi invisibili, mentre altri sono esplosi come stelle fin dal primo giorno entrando legittimamente nella top ten.

Fa riflettere come alcune canzoni siano scritte da un tavolo tecnico di autori. Questo disarma la forza delle canzoni più profonde.

 

I temi universali s’inchinano sull’Ariston

Nascita e morte si intrecciano con una delicatezza che mette i brividi. Ma anche l’amore trova il suo spazio sul palco dell’Ariston.

Penso ad Achille Lauro e alla sua “Incoscienti giovani”, che mescola l’energia travolgente della giovinezza con il percorso di crescita umana e personale. È come se l’anima infantile, crescendo, si liberasse dei suoi vestiti per indossarne di nuovi. C’è una dolcezza in questo personaggio, quasi surreale, che si fa apprezzare per la sua chiarezza, lucidità e determinazione. È cresciuto in modo eccezionale superando pregiudizi e retoriche del caso.

E poi Lucio Corsi, la vera rivelazione. Il cerone bianco sul viso, il fisico esile e quel “volevo essere un duro” che racchiude tutto: le fragilità, le debolezze e la potente accettazione di sé. Quanta forza ci vuole ad essere normali in un mondo di eccezioni ed eccezionalità?

Su Brunori Sas c’è poco da dire: la sua penna è una piuma d’arte. “L’albero delle noci” non è solo una canzone, è una poesia raffinata, profonda, scritta con una cura incredibile. Una padronanza di parole che quasi commuove. È come se ogni frase fosse stata costruita con lentezza e cura. “Che tutto questo amore io non lo posso sostenere. Perché conosco benissimo le dimensioni del mio cuore.” Dolce, mai sdolcinato. Chiaro e pulito, come il suo modo di essere e di fare l’artista. L’autore è nudo, direi, prendendo in prestito una frase blasonata. Nudo, perché non ha bisogno di orpelli: ha la sua musica, i suoi testi e questa dolcezza onirica che sembra appartenere ad un altro tempo.

Concludo con Simone Cristicchi, per necessità. Cristicchi commuove il pubblico, lo ha fatto fin dalla sua prima esibizione. Mette i brividi perché ti spinge in un viaggio introspettivo. È di una potenza deflagrante: prima entra nei polmoni e poi ti costringe a respirare ciò che respira lui.

Perché divide? Perché il viaggio che Cristicchi ti costringe a fare è doloroso, innamorato, ma anche drammatico. Ognuno di noi, nel momento esatto in cui canta, pensa alla propria madre e gli verrebbe voglia di cambiare canale, non perché la canzone sia brutta, ma perché quelle parole sono come un treno in corsa. Sai che, prima o poi, ti travolgerà e ti distruggerà. E se lo hai già provato, sai che parte della tua vita è finita sui binari immaginari costruiti dal tempo. Quindi le alternative sono due: o lo ami, o lo allontani. Reazioni umane, troppo umane, per essere comprese davvero fino in fondo.

C’è una bellezza che insegna a vivere oggi. Ha mille volti ma al Festival ne ha uno solo: Bianca Balti

Infine, una piccola riflessione su Bianca Balti, bellissima e sorridente. Lei è un simbolo, proprio come la Murgia e tante altre prima di lei, che ci ricordano quanto la vita sia meravigliosa. Ci insegnano che dobbiamo viverla appieno, prendendo possesso di ogni momento, divorando la bellezza delle occasioni senza aspettare di avere un “cancro” per comprenderne la piena consapevolezza.


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