Morto il giornalista Amedeo Ricucci, inviato di guerra Rai

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La notizia della morte di Amedeo Ricucci mi ha sconvolto. So che aveva avuto un tumore ai polmoni recentemente, ma mi aveva detto che era stato debellato. Quindi la notizia della sua scomparsa mi ha colto completamente impreparato e non ho modo di ricordare il collega, il grande inviato, l’amico e compagno di tante battaglie, ricerche, serate. Ma qualcosa devo provare a dire di lui, non per lui, che sarà ricordato da tanti più importanti e titolati di me. Ma per provare a serbare la traccia di un brutto carattere che ci serve terribilmente e che stiamo perdendo. Sì, Amedeo aveva un brutto carattere, un bruttissimo carattere. E l’essenza di questo brutto carattere stava nel non accontentarsi del banale, del “normale”.  Così mi viene un ricordo, tra i tanti, che scelgo come prezioso per ricordare questa sua sfida alla “normalità”.

Amedeo fu sequestrato, in Siria, da Jabhat al Nusra. Pochi giorni, per fortuna, poi finì. Questo “dettaglio” lui non lo citava mai nei suoi racconti siriani. Non lo scriveva nei suoi “post” o nei suoi “cv”. Non ne ha scritto, non perché farlo fosse sbagliato, ma perché riteneva che ci fossero cose più importanti. Mi ha detto così. Io gli suggerii di farlo, serviva a capire, mi disse di no: fu così, se ricordo bene, che ci venne l’idea di creare la nostra piccola associazione, i giornalisti amici di Padre dall’Oglio. “Ma il presidente lo fai tu”, mi disse, “io non ho tanto tempo e tu lo conoscevi di più”. Ma ha avuto il tempo di andarlo a cercare, e ne è venuto un reportage straordinario, Abuna. Avevamo lavorato a quel reportage? Certo che sì. Tutto il poco che potevo lo ho fatto con gioia perché sapevo che sarebbe entrato in un grande lavoro che avrebbe detto molto di più.

E cos’ì mi ricordo anche che un giorno, durante la lunga stagione dei bombardamenti, lui era tornato in Siria. E in diretta diceva “qui stanno bombardando i civili: è il regime, col sostegno dei russi”. La sua cronaca andava sul web, in diretta e dal web in molti scrissero nei commenti che non era così: “ non è vero, bugiardo, non bombardano, sono i terroristi che uccidono in Siria.” Era una verità tanto cara a tanti ambienti. La differenza tra lui e suoi denigratori è che lui stava lì. Ma questo non conta più niente. Per questo non mollava la presa, seguitava a partire, a proporre di andare. Ma senza quella retorica delle scarpe impolverate. Si va perché ciò che conta della vita  è raccontarla.

La pensavamo sempre allo stesso modo? Certo che no! Era impossibile pensarla allo stesso modo perché lui, a differenza di tanti, cambiava idea. Non era malato di coerenza con la propria visione del mondo, ma con la realtà che vedeva.

E’ la Siria che ha cementato tra noi un rapporto a prova di ogni differenza, di ogni contrasto, di ogni abbandono. E’ per questo che il suo ultimo reportage che ho visto era senza parole. Basta parlare, commentare, è ora di farla vedere, la realtà. E chi vuole farla vedere, cambia, deve cambiare, come cambia sempre la realtà, intorno a noi. Ma non sempre dentro di noi, che restiamo attaccati a rappresentazioni della realtà che ci appaiono conferme immutabili delle nostre ideologie.

Oggi che non c’è già Amedeo mi rendo conto di un vuoto che mi cresce introno: dopo Paolo Dall’Oglio, anche il compagno fedele della lotta per la verità su di lui. E ho paura di restare qui, solo, con la mia ideologia di “verità”. Questo errore Amedeo ti giuro che non lo farò.


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