In memoria di Lino Capolicchio: il divo freddo

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Lino Capolicchio è stato, con il suo volto, la sua capigliatura, il suo corpo, la sua voce, un’immagine ipertestuale degli anni sessanta/settanta. Con una sorta di artigianale riconoscimento facciale, si coglievano in lui anche nei delicati mesi passati i sintomi e le tracce di quella stagione irripetibile. Fatta di discese ardite e di risalite. Un movimento nel senso forte del termine.

Convivevano negli sguardi e nei gesti tanto la felicità quanto la tragedia, velocemente intercambiali nell’espressione degli occhi, decisivi questi ultimi nel configurarne il particolare fascino. E proprio simile alternanza, talvolta velocissima e con sequenze quasi sovrapposte, fu una delle caratteristiche di quegli anni. Un secolo breve nel secolo breve.

Ovviamente, è riduttivo sovrapporre il ricordo di una persona ad un determinato periodo storico. Tuttavia, il contesto temporale è molto importante per capire. Quell’espressione eternamente giovane e un po’ élitaria è come una firma sotto un capitolo di storia. Un divo freddo nel bel mezzo di venti surriscaldati.

Le molteplici virtù artistiche di Capolicchio sono state ampiamente descritte. Del resto, il bel volume edito nel 2019 dal Centro sperimentale di cinematografia e dall’editore Rubettino (D’amore non si muore) ci racconta di una sequenza variegatissima ed eclettica di relazioni e di contatti. Registi, attrici e attori, musicisti e personalità che stanno nell’immaginario di tante e di tanti come inarrivabili oggetti del desiderio. Capolicchio ne parla con la naturalezza con cui si può evocare la chiacchera sul pianerottolo di casa con i vicini.

Si va da Giorgio Strehler, a Sergio Tofano, a Vittorio De Sica, ad Anna Magnani, a Federico Fellini, a Luchino Visconti, a Fabrizio De André, a Pier Paolo Pasolini, a Francis Ford Coppola,  a Carmelo Bene, ai Beatles, a Carlo Lizzani, a Roberto Faenza, a Luigi Filippo D’Amico, a Franco Zeffirelli, a Richard Burton, a Orson Welles, a Giuseppe Patroni Griffi, ad Adriano Panatta. A Giuseppe De Santis e Pupi Avati: per lui qualcosa di più di registi.

Una storia fatta di scoperte ed emozioni, vissute con la forza tranquilla di chi vuole bene al mondo.

C’è, poi, un aspetto forse meno noto di Lino, che mi permetto di ricordare, avendo avuto l’opportunità di conversare svariate volte con lui, anche insieme all’amata Francesca.

Si tratta della passione per le cose della politica. Spesso in un tavolo di bar, di fronte ad un tè richiesto ma non bevuto neppure con un sorso, si conversava sia sull’attualità sia di questioni teoriche. Sì, teoriche. Lino era pessimista nella sua mente razionale, ma curioso e disponibile a risalire indietro, ai classici del pensiero. Era un uom colto e raffinato, così lontano dallo stereotipo che pure ne aveva fatto una sorta di sex symbolinvolontario, come scrive nell’introduzione al volume citato Domenico Monetti.

Non era un agitatore di assemblee, bensì un attivista civile attratto dall’argomentazione piuttosto che dagli slogan improvvisati.

La meticolosa precisione che aveva nel ragionare era la stessa che ne ha contraddistinto l’opera artistica: nel teatro, nel cinema, nella televisione, nella lirica, nella recitazione come nella regia o nella sceneggiatura.

Un artista anomalo, in un’Italia usa ad un immaginario popolato da figure iconiche calde se non caldissime. Tipologie maggiormente segnate da stili particolari, siano essi la commedia all’italiana o la creatività autoriale.

Capolicchio ha interpretato la sua missione, purtroppo conclusasi nei giorni scorsi, dandoci l’idea del lavoro culturale come professione alta e fondamentale per un’umanità che voglia vivere e non solo sopravvivere. Resistere e non subire.

Mi capitò di incrociare per la prima volta Lino al Teatro Lirico di Milano, quando interpretò Le baruffe chiozzottedirette da Strehler. Sostituiva Corrado Pani. Frequentavo le scuole medie a Milano. Fu per me la prima volta a teatro.

Non avrei immaginato di ritrovare il battellaio in un’altra stagione della vita e di diventargli amico. Il destino è stato gentile.

Ci mancherai, Lino. Eun abbraccio a Francesca e aTommaso.

 

 

 

 

 


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