Memorie moscovite nella tragedia dell’invasione russa in Ucraina

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Fu completamente di sorpresa che un uomo corpulento ci cadde rotolando addosso senza cessare di gridare improperi e per poco non ci trascinò con lui giù per le ripide gradinate. In quel tardo pomeriggio dell’autunno 1978, il CSKA stadiòn era gremito da cima a fondo per la sfida sul ghiaccio tra la squadra di hockey del Club Sportivo dell’Armata Rossa e gli ospiti ucraini della Dinamo Kiev. Evitammo d’istinto quella valanga umana, così come anche di essere coinvolti nella breve ma manesca rissa scaturita qualche metro più su dalla sua lite con i tifosi della squadra di casa. Lo sventurato teneva per il Kiev. E’ in quell’occasione che ho appreso quanto fosse popolare oltre che accanita la rivalità che da sempre o quasi divide -non esclusivamente nell’hockey- russi e ucraini.

Non sono un amante dell’hockey su ghiaccio e a trascinarmi alla partita era stata una circostanza fortuita, la cortese offerta telefonica di un collega e amico ungherese, Yula Ortutay-Lovas, che miracolosamente disponeva di tre biglietti per andarla a vedere. Una fortuna insperata soprattutto per Evghenij Evtushenko: si, il famoso poeta, sportivo appassionatissimo, che in quel momento si trovava a casa mia per un’intervista (lavoravo come corrispondente per La Stampa da Mosca) e insistette per venire anche lui. Tra noi tre, era l’unico non del tutto o forse per niente sorpreso. Tant’è che già ci aveva richiamato ad osservare la straordinaria animosità che opponeva i giocatori avversari sul rettangolo di ghiaccio.

L’hockey è notoriamente uno sport violento, le regole lo consentono; ma i loro scontri erano specialmente impressionanti. Si scagliavano senza tregua gli uni contro gli altri al massimo della velocità e nei duelli che finivano a bordo-pista spesso il pattinatore isolato si trovava letteralmente schiacciato tra due avversari che continuavano a pestarlo. Le pesanti bardature non erano sufficienti a proteggerlo e restava stordito a terra. Gli attacchi spesso travolgevano il portiere che restava sepolto sotto due, tre avversari e a volte anche da qualche difensore. Gli arbitri non riuscivano a contenere le ostilità. E ogni tanto s’intravvedeva una zuffa anche tra il pubblico. Fino al termine della partita.

Una volta fuori, con il collega Yula ricordammo che Evtushenko era l’autore di Babij Jar e lo coinvolgemmo senza bisogno d’insistenze a parlare delle inimicizie tra russi e ucraini. Non ricordo se per caso o intenzionalmente, il poeta (siberiano di nascita ma di madre ucraina e secondo taluni ebrea) nel corso di un viaggio a Kiev aveva visitato il luogo alla periferia della capitale ucraina (Babij Jar) in cui nel 1941 reparti nazisti e collaborazionisti ucraini avevano compiuto un eccidio di ebrei, 33mila 771 le vittime. Scoprì così che le autorità lo avevano lasciato del tutto abbandonato, permettendo che diventasse una discarica. Yula e io facemmo i nostri commenti. Evtushenko disse a un tratto:”Ani priniesli stidna…” (loro ne portano la vergogna).

Indignato, la notte stessa in albergo a Kiev aveva scritto di getto il poema divenuto poi noto a tutti, Babij Jar: “Non c’è un monumento a Babij Jar/il burrone ripido/è come una lapide…”. Sentendosi accusate di antisemitismo, oltraggio e incuria, le autorità sovietiche tanto a Kiev quanto a Mosca avevano reagito accusando a loro volta il poeta di oltraggio alla patria per aver dimenticato volutamente russi e ucraini caduti innumerevoli combattendo contro l’invasore nazista. Ne era nato uno scandalo politico che dopo il ventesimo congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e le aperture che ne seguirono coinvolsero gran parte della politica e dell’intelligentzija sovietiche. A Babij Jar sono stati poi precipitati partigiani comunisti, disertori tedeschi e nazionalisti ucraini: è un’immensa fossa comune dei diritti umani.

Ma Vladimir Putin -strumentalmente- oggi parla soltanto dell’urgenza di de-nazificare l’Ucraina, un termine quasi dimenticato nel secondo dopoguerra mondiale, che ricorda Norimberga, i processi dei grandi capi nazisti, l’epurazione dei loro complici più noti. E in Russia funziona. Il capo del Cremlino pensa ai responsabili dell’estrema destra ucraina e nasconde le sue responsabilità dietro la loro ombra. Pensa, e quasi lo dice esplicitamente, a quanti ancora oggi a Kiev celebrano ogni primo gennaio l’anniversario della nascita di Stepan Bandera, il leader ultra-nazionalista cattolico ucraino che negli anni Trenta organizzò una milizia anti-comunista e al momento dell’invasione nazista nel 1941 la schierò al suo servizio. Commettendo però l’errore di proclamare l’indipendenza del paese e Hitler, pur preservandogli la vita, lo fece d’immediato deportare nel lager di Sachsenhausen.

Il groviglio delle colpe reciproche che intrecciano la storia comune così come quella separata di russi e ucraini e difficile da sciogliere. E i reciproci, sedimentati sentimenti collettivi non aiutano. Il presidente ucraino Vladimir Zelensky, che è ebreo e alcuni suoi avi sono stati sterminati nell’Olocausto, non ha neppure tentato di farlo. Il suo populismo, spinto dalla crisi incendiata dal secessionismo russofilo, ha invece preso tinte sempre più nazionaliste. Giungendo a prefigurare un ingresso nella NATO, di cui non era impossibile prevedere le conseguenze. E in queste ultime ore non ha smentito di aver chiesto a Israele un tentativo di mediazione con Mosca. Non sappiamo su quali premesse e prospettive. Potrebbe non aver previsto neppure il carattere di Putin, le cui fantasie imperiali sembrano evocare più gli zar che Lenin.

Al punto in cui siamo, la personalità del presidente russo, il suo immaginario personale non costituiscono un dato minore. Oltre 17 anni fa, descrivendoli in una conferenza all’università di Harvard, l’ambasciatore italiano Roberto Toscano, ora a riposo, avvertiva che quello di Putin era un temperamento eccezionalmente marcato fin dall’adolescenza dal senso dell’azione diretta e lo avremmo prima o poi comprovato. Agente segreto, judoka, tiratore scelto, paracadutista e campione di sci, addestrato al comando e alla congiura, Putin era un personaggio bizantino che avrebbe svolto con ogni probabilità un ruolo non minore sulla scena internazionale, affermava Toscano (pur dichiarando di voler evitare la consumata questione della personalità individuale nella storia). Zelensky che tenta ormai disperatamente di salvare la dignità dell’Ucraina e propria, è invece un ex attore di successo; ma la tragedia che devasta l’Ucraina e l’Europa è ormai una realtà.


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