La vera sfida è il ruolo della democrazia

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Compiamo vent’anni nel momento più difficile, in un mondo ormai giunto sull’orlo dell’abisso, forse al punto di non ritorno, in cui crisi climatica, crisi energetica e delle materie prime e crisi democratica si intrecciano in una miscela devastante per il nostro futuro. Un futuro che non sappiamo nemmeno se ci sarà e quanto sarà lungo, specie se si considera che a menare le danze sono ormai tutte nazioni dotate dell’arma atomica e nelle quali il concetto di democrazia è pressoché inesistente.
Siamo nati, nel febbraio del 2002, per prenderci cura della libertà d’informazione, all’epoca messa a repentaglio dal berlusconismo arrembante e dell’editto bulgaro con cui, poche settimane dopo la nostra nascita, vennero accompagnati all’uscita dalla RAI professionisti come Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi. Se le cose sono andate come sappiamo, se in questi due decenni siamo sprofondati a tutti i livelli e se oggi la nostra classe politica si commenta da sola, molte delle responsabilità vanno ricercate lì: nelle azioni concrete del centro-destra e negli imbarazzanti silenzi del centro-sinistra. L’auspicio è che, di fronte alla barbarie che sta squassando l’Ucraina e dopo due anni di Covid, molti cittadini e cittadine si siano resi conto di quanto sia prezioso il bene della libertà d’espressione, soprattutto se si prende in esame ciò che accade in regimi come quello russo, dove denunciare le malefatte del potere può costare non solo la galera ma addirittura la vita. Speriamo che molte e molti, vedendo i giornalisti e le giornaliste italiane al fronte, con l’elmetto in testa e il giubbotto antiproiettile indosso, si siano resi conto di quanto questa professione, se svolta al meglio, sia essenziale per il nostro vivere civile. E facciamo in modo di meritarci quel briciolo di fiducia che l’opinione pubblica sembra essere tornata a riporre in noi, in questi giorni in cui tutte e tutti avvertono il bisogno di sfogliare un giornale o di sintonizzarsi davanti al televisore per seguire gli sviluppi di una catastrofe che sta entrando nelle nostre case e nel nostro immaginario collettivo con una rapidità devastante.

Vent’anni dopo abbiamo di fronte ai nostri occhi tutte le drammatiche conseguenze della globalizzazione liberista che contestammo già a Genova nel 2001 e prima ancora a Seattle, subendo gli stessi insulti che subiamo oggi per la nostra difesa, senza se e senza ma, dei valori della pace e della fratellanza fra i popoli.
Vent’anni dopo siamo costretti a fare i conti con l’orrore delle guerre passate e presenti, contro cui ci siamo sempre battuti senza tentennamenti, a differenza sia della destra che di una certa sinistra, cinica e spietata, che non ha esitato, a sua volta, a irridere le ragioni dei pacifisti.
Vent’anni dopo avvertiamo la paura e lo sgomento, al cospetto di un regime, quello di Putin, che riporta la guerra in Europa dopo sette decenni, anche se è d’obbligo non dimenticare lo scempio compiuto nel ’99 nei Balcani, con annessa partecipazione attiva dell’Italia. Non ci sorprende, a tal proposito, che anche in quel che resta della sinistra ci sia qualcuno che non vede l’ora di mettere gli stivali sul terreno, evidentemente dimentico di ciò che significhi per l’umanità e dei disastri cui siamo andati incontro seguendo questa linea sciagurata negli ultimi tre decenni. Così come non ci sorprende il blairismo di ritorno di quanti non hanno ancora capito che la globalizzazione senza regole è un crimine, che la storia non è mai finita (adesso lo sostiene persino Fukuyama, bontà sua!) e che, per non sprofondare definitivamente nel baratro, è indispensabile restituire allo Stato il ruolo che gli compete, accantonando le smanie privatizzatrici che hanno caratterizzato innanzitutto i governi di centro-sinistra a partire dagli anni Novanta.

Vent’anni e siamo chiamati ad affrontare la sfida più difficile: quella che contrappone le nostre fragili democrazie alla potenza ascendente di regimi nei quali non esistono libere elezioni, le decisioni vengono assunte in un baleno da pochi oligarchi e non è ammessa alcuna forma di dissenso. Non è la velocità, dunque, il principio su cui deve fondarsi la nostra democrazia nel Ventunesimo secolo ma la profondità e la condivisione, il coinvolgimento attivo di molteplici settori della società e il ripudio di ogni forma di esclusione, se non per quanto concerne fascisti e violenti. Non a caso, siamo sempre stati contrari all’anti-parlamentarismo che, dal 2001 in poi, è diventato la cifra politica non solo della destra ma anche di una parte della sinistra, se ancora la si può chiamare così. Non a caso, abbiamo ribadito, in tutte le sedi, che di un’informazione indipendente ce n’è bisogno come l’aria, trattandosi di un bene comune e del fondamento che segna la differenza fra la democrazia e ciò che democrazia non è. Non a caso, abbiamo combattuto in prima linea al fianco di tutti i dissidenti, in ogni parte del mondo, dall’Egitto alla Turchia, in nome di un principio di libertà che è universale, non ha confini né frontiere. E non a caso ci ritroviamo qui oggi, vent’anni dopo, a riflettere su una frase che pronunciò a suo tempo Bertinotti, relativa alla “guerra infinita e indefinita”. Fu uno dei capisaldi delle riflessioni formulate sotto i tendoni del Carlini, prima che la ferocia repressiva annientasse quel movimento e, con esso, i sogni e le speranze di una generazione. Articolo 21 nasce anche da lì, ben cosciente del fatto che quella “rottura epistemologica”, per dirla con Althusser, abbia provocato una frattura che va ben al di là del perimetro italiano, investendo l’intera Europa e, probabilmente, il mondo. Siamo nati per restituire voce, prospettive, spazi e luoghi di incontro, di discussione e di confronto a tutte e tutti coloro che ne sono stati privati, anche a causa della progressiva, e non sorprendente, evaporazione dei partiti. E vent’anni dopo ci rendiamo conto, a malincuore, che serviamo più di allora, essendo venuto meno quasi tutto il resto ed essendo rimaste solo le macerie della nostra democrazia, delle nostre istituzioni e di un dibattito pubblico ormai ridotto a slogan e frasi fatte, con tanto di invocazione di svolte autoritarie implicite che abbiamo già respinto due volte nelle urne e contro le quali continueremo a batterci attivamente.

Dall’ecatombe ucraina possiamo uscirne in due modi: recuperando gli ideali pacifisti e comunitari, ossia a sinistra, o abbracciando un “atlantismo” che non ha nulla a che spartire con un sano rapporto di amicizia e collaborazione con gli Stati Uniti e molto con l’istinto guerrafondaio che contraddistinse la presidenza Bush, al punto che persino a Furio Colombo venne spontaneo domandarsi di quale America parlassero coloro che gli davano dell’anti-americano per il solo fatto di essere contrario alla ferocia di operazioni che nulla avevano di umanitario e per le quali pagheremo ancora a lungo un prezzo altissimo.
Vent’anni e un’amara certezza: le ragioni che portarono alla nostra nascita sono, come detto, più attuali che mai. Ci auguravamo di cuore che ciò non accadesse.

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