“Riprendiamo le inchieste di Daphne, quelle che portano in Italia, che riguardano Mafia e Camorra”

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“Riprendiamo le inchieste di Daphne, quelle che portano in Italia, che riguardano Mafia e Camorra: l’esplosivo che ha ucciso la giornalista Maltese è partito dall’Italia, il braccio destro dell’ex premier Muscat, minaccia giornalisti italiani (Nello Scavo, ndr) che si occupano della tratta di esseri umani. Proseguiamo il lavoro d’inchiesta perché la questione maltese è anche italiana, europea”. Mattia Motta, segretario generale aggiunto della Fnsi, in rappresentanza dei giornalisti italiani nel quarto anniversario dall’uccisione di Daphne Caruana Galizia lancia un appello dal palco allestito dalla Ong Republikka a Valletta.

Come scrive il “Times of Malta” nell’edizione di domenica, a Malta “sono incoraggiate le minacce psicologiche e fisiche, fabbriche di troll e fake news” contro i giornalisti scomodi. E tutto questo “non è riconducibile solo alla politica”, scrive il Times, ma anche a interessi economici che portano dritto alla centrale a Gas, grande business su cui, oltre ai Panama Papers, stava indagando Daphne.

“La Fnsi e la società civile italiana, con Articolo21 in testa, chiede azioni concrete all’Italia e al Parlamento Europeo per impedire che si possa ricreare l’ambiente ostile che ha ucciso Daphne perima del tritolo piazzato sulla sua Peugeot, il 16 ottobre 2017: a uccidere Daphne fu il clima di minacce, di demonizzazione e di intimidazioni creatole attorno. Il clima d’odio nei confronti dei giornalisti è spesso alimentato dalla politica. Occorre affrontare il tema del linguaggio politico, che punta a creare tifoserie contrapposte, come in una partita di calcio. Quando la politica attacca i giornalisti liberi, scomodi al potere, sta attaccando la radice stessa della democrazia. Un potere politico che oggi vorrebbe non ci fosse differenza tra un giornalista e un’asta del microfono. A questo futuro, noi diciamo no”.

Quello del 2021 è il primo ricordo civile dell’uccisione di Daphne in una situazione pandemica sotto controllo. Almeno mille persone in piazza, a La Valletta, la sera del 16 ottobre. Nessun politico del Governo laburista si è presentato alle manifestazioni, partite alle 15 da Binijia, luogo in cui abitava Daphne e dove è stata uccisa, finendo la sua vita in un campo coltivato alla fine di una discesa. Lì uno striscione reclama giustizia. “Daphne aveva ragione”. Daphne was right. Questo il “mantra” delle manifestazioni.

“La storia di Daphne, come quella di Ilaria Alpi e Mihran Hrovatin, di Giulio Regeni, di Italo Toni, Graziella De Palo, Andy Rocchelli solo per fare alcuni nomi, sono ferite aperte per tutti i cittadini europei. Come già fatto dal presidente Fnsi, Giuseppe Giulietti, e dal Segretario, Raffaele Lorusso solo due giorni fa a Bruxelles, accendere i riflettori su Daphne, sulla sua storia fatta di minacce, cause legali, e attacchi personali significa tenere acceso il fuoco della democrazia compiuta, fatta di un giornalismo d’inchiesta libero di criticare e indagare: perché questo è lo scopo della professione giornalistica”.

Uno dei modi per “sparare alle gambe” dei giornalisti d’inchiesta è sommergerli di denunce.

“Daphne ha visto con i propri occhi il peso delle minacce giudiziarie che la volevano schiacciare. Il lavoro di Daphne è stato reso ancora più complicato dalle minacce legali.

Per questo rilanciamo l’appello della Efj per l’emanazione di una Direttiva UE sul tema delle querele bavaglio”.

Tra pochi giorni, il 23 ottobre, a Ronchi dei Legionari, luogo in cui è stato creato un murales dedicato a Daphne, verrà realizzata un’altra panchina per Cristina Visentin, amica e collega che ha voluto che il festival del giornalismo portasse il nome di Daphne.

Le due panchine, quella di Daphne e quella di Cristina, saranno vicine, perché possano continuare il loro dialogo di pace, e speranza.


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